Il pm antiterrorismo di Como
«In Italia la prevenzione funziona»

Il procuratore Piacente: «Cellule difficili da intercettare,agiscono con pochi soldi»

«Francia e Belgio sono i Paesi dell’Unione Europea dai quali parte il numero maggiore di “foreign fighters», cioè di coloro che vanno in Siria a combattere a fianco delle milizie del Daesh. Ma l’aspetto più drammatico è la presenza sul territorio dei Paesi dell’Unione delle cosiddette “cellule dormienti”, difficili da intercettare, ramificate e diffuse, pronte a colpire in qualsiasi momento.» Lo ha detto a Voci del Mattino, Radio1 Rai, Nicola Piacente, procuratore della Repubblica di Como, e componente di Codexter, il Comitato permanente di esperti sul terrorismo presso il Consiglio d’Europa.

«Al momento non esistono prove concrete del collegamento fra il flusso dei migranti verso l’Europa e il fenomeno terroristico in sé. Va detto che in Italia siamo forse il Paese che per quanto riguarda il rapporto popolazione-foreign fighters è investito meno dal fenomeno. E questo è un dato assai significativo. In secondo luogo, la politica di prevenzione del governo, che consente espulsioni di persone sulle quali si siano maturati indizi consistenti circa la loro radicalizzazione, sinora ha dato ottimi risultati». Una lacuna «difficilmente colmabile» secondo il procuratore è l’individuazione delle fonti di finanziamento del terrorismo. «Programmare e portare a termine un attentato - ha osservato il magistrato - costa molto poco in termini finanziari. Quindi non c’è bisogno di un complesso sistema di trasferimento di fondi attraverso canali bancari o finanziari. Una cintura da kamikaze costa poche centinaia di dollari. E questo è un problema serissimo, perché è difficile intercettare il percorso del denaro contante necessario per una singola azione terroristica che costa assai poco». «Diverso, naturalmente - aggiunge - è il discorso riguardante i canali di finanziamento dell’intero apparato, delle intere organizzazioni terroristiche. Lì, purtroppo, a livello europeo scontiamo un deficit di indagine. In questo momento non siamo in possesso di strumenti investigativi e di monitoraggio idonei. Ma non manca una politica europeo di contrasto, perché esiste una normativa-quadro alla quale fanno riferimento tutti i Paesi europei sia in termini di criminalizzazione di condotte “sospette” che in termini di cooperazione giudiziaria. Soprattutto quest’ultima funziona».

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