Il saluto del vescovo
«I miei dieci anni
fra i fedeli lariani»

Bilancio della sua missione alla vigilia del compimento dei 75 anni
«Dobbiamo essere pronti a salutarci, resterà l’affetto»

Al termine del suo intervento, le centinaia di persone presenti all’interno del Duomo per l’assemblea diocesana voluta a chiusura della visita pastorale, si sono alzate in piedi ad applaudire il vescovo di Como Diego Coletti.

Una grande dimostrazione d’affetto, in previsione di un anniversario molto significativo: Coletti compirà 75 anni fra una settimana esatta e a quell’età, nella chiesa, sacerdoti e vescovi sono invitati a mettere a disposizione il proprio mandato e ad attendere le indicazioni del Papa.
E per questo, di fronte a una platea composta da rappresentanti di associazioni, parrocchie, comunità pastorali e movimenti, utilizzando l’episodio degli atti degli apostoli di Paolo alla spiaggia di Mileto, il vescovo ha concluso: «La storia è un simbolo, significa che dobbiamo essere pronti a salutarci. Ci siamo voluti bene così come siamo stati capaci. Continueremo a volerci bene, perché questo è una delle poche cose capaci di sopravvivere alla nostra morte corporale. Anche se vicinanze e lontananze, presenze e assenze, responsabilità e non responsabilità creeranno condizioni diverse. Ma l’unica cosa che non deve mai venir bene, è il fatto che ci vogliamo bene».

Subito dopo il momento musicale, Coletti ha espresso le proprie osservazioni, prospettive e speranze per il cammino futuro, contenute in un documento corposo, un bilancio del suo mandato pastorale.

«La prima osservazione sul nostro incontro e su quello che sono riuscito a fare in questi anni – spiega Coletti – riguarda la cura dello stato della fede. E questo che mi ha sempre in prima linea occupato e impegnato. Ed è misurato dalla relazione personale con Gesù. Perché la nostra fede ha in lui la nostra pienezza e verifica. E intendo una fede adulta, capace di relazionarsi con tutto quello che per noi è vita reale, cultura, partecipazione, storia, interpretazione del mondo. E su questo ho trovato tanta sintonia e collaborazione».

Un ulteriore punto riguarda l’importanza decisiva della celebrazione del giorno del Signore: «Tutto quello che è abitudine stanca e trascinata, moralismo, superficialità e non è partecipazione va eliminato. Quanta cura ho trovato dedicata nella nostra Diocesi per far sì che questo appuntamento sia vissuto in pienezza e profondità».

Il vescovo ha ricordato l’invito del Papa ad andare verso le periferie: «Non si tratta di una geografia materiale, ma significa andare verso i lontani. La cura del nostro rapporto di chi non è già con noi. La cura di una casa aperta, accogliente, ordinata, non giudicante, non fatta di barriere, ma dove ci si fa prendere da affetto, una comunità calda e aperta».

E con l’invito a costruire una comunità fraterna e accogliente, ricordando la centralità della famiglia come luogo ideale per la trasmissione della fede e della costruzione di legami e relazioni, aggiunge: «Prendiamoci cura gli uni degli altri. Il nostro Dio non è una solitudine ma una relazione fra persone. È una famiglia: Padre, Figlio e Spirito Santo. Volerci bene gli uni e gli altri come lui ci ha amati è una delle frasi maggiormente riassuntive, è un invito solenne e dovremmo metterlo in cima a ogni nostra riflessione».

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