"Care sorelle", ritratto
da giovane di Pio XI

Negli anni giovanili, Achille Ratti, il futuro pontefice brianzolo, era cappellano delle suore milanesi del Cenacolo. Pubblicate le lettere, finora inedite, che restituiscono un ritratto umanamente più sfaccettato dell'uomo di Chiesa.

di Vincenzo Guarracino

La presentazione degli Atti del Convegno "Pio XI e il suo tempo", a cura di Franco Cajani, che si è svolto a Desio sabato scorso, è l'occasione per parlare anche di una ricerca dedicata appena un anno fa dallo stesso Cajani alla figura di Achille Ratti, dal 1922 al 1929 papa Pio XI, intimamente legato al territorio brianzolo per nascita (Desio, 1857) e per stile sobrio e fattivo, dimostrato nello svolgimento di delicate mansioni intellettuali (era stato Prefetto dal 1888 della Biblioteca Ambrosiana, prima, e dal '17 della Vaticana, poi) e diplomatiche (Visitatore Apostolico in Polonia, nel '18), oltre che da Papa in tante decisioni politiche, pastorali e dottrinarie.
Uno stile sobrio e fattivo, concreto, capace di essere presente anche nelle piccole cose della vita quotidiana, con amorevole e cristiana sollecitudine, ancorché con fermezza: è in questa luce, che appare anche in un capitolo poco noto della sua vita quale è quello convenientemente esplorato e rappresentato, sulla scorta di testimonianze e documenti epistolari, dalla ricerca di Cajani, che, giova ricordarlo, è non solo appassionato studioso e storico di cose brianzole (si ricordi che è stato per un trentennio direttore della rivista "Quaderni della Brianza") ma anche poeta di non marginale rilievo del panorama letterario nazionale. Il capitolo di cui si parla è l'impegno che aveva visto il giovanissimo don Achille Ratti, da poco reduce dal primo incarico pastorale nella parrocchia di Barni, sopra Asso (Como), in qualità di aiutante dello zio prevosto, accollarsi le mansioni di cappellano delle Suore del Cenacolo, che avevano da poco impiantato una loro piccola comunità a Milano. Un impegno non facile, certamente, che si aggiungeva a quello di professore di eloquenza sacra nel Seminario milanese di Corso Venezia ma che era stato accettato subito con grande entusiasmo dal giovane prete («bien jeune», però già con «la maturité d'un veillard», come aveva commentato l'Arcivescovo Luigi Nazari di Calabiana), che si adopera a seguire la vita non solo spirituale delle religiose a lui affidate ma anche quella più propriamente materiale, come per esempio il rinvenimento di una sede consona per la sistemazione della piccola comunità, in Brianza (Orsenigo, Merate, Incasate, Sirtori, Monza), a Varese e infine sul lago Maggiore, dove a Zoverallo, nei pressi di Verbania, si sistemeranno a partire dal 1901.
«Giovane» ma con «la maturità di un vecchio» e via via un uomo sempre serenamente compreso delle sue responsabilità e bisognoso delle preghiere delle sue "figlie" («priez et faites prier pour moi», raccomanderà ancora all'atto di partire da Varsavia, nel '21): è questo il tratto che emerge fin dalle prime lettere del fitto carteggio, intrattenuto via via con la madre superiora Marie Hallez e poi successivamente con le altre religiose a lei succedute nella guida della piccola Congregazione fino al 1921, alla vigilia cioè dell'ascesa al soglio pontificio. Giovane e pio, saggio e lieto di esercitare il proprio ministero, ma soprattutto umile, capace com'è di confessare la propria inesperienza e con la coscienza di «poter ben poco a vantaggio vero di chicchessia», ma anche fermo nel richiamare le zelanti suore a più sobri comportamenti, dissuadendole dall'affrontare per lui nuove spese («nelle vostre circostanze ne dovete avere già tante»). Raccomandazioni come questa e attenzione a una minuta, umanissima quotidianità si susseguono in tutto l'arco dell'espletamento delle sue mansioni pastorali, con l'invito a «en rien distraire de la pensée de Dieu». Non distrarsi dal pensiero di Dio, dedicandosi alla preghiera e a una vita di raccoglimento e di silenzio: su questo punto da parte del giovane prete, prima, e del monsignore e del Cardinale, poi, si insiste non poco e colpisce l'umanissima celebrazione che don Achille fa di un suo momento giustappunto di quiete nell'amena solitudine di Asso. «Vedo che quest'aria mi fa veramente bene e che il mese è quasi finito e io sacrificherò forse il poco che me ne resta ancora per il completo ristabilimento della mia salute, se questo è necessario», scriveva il 21 gennaio del '92 a Félicité Rostaing: come dire che la vita spirituale va di pari passo anche con la cura della salute del corpo.

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