Chiara Francini:
«Lockdown e novelle
in stile Decameron»

Con “Il clelo stellato fa le fusa” la popolare attrice e scrittrice toscana si ispira al capolavoro trecentesco per parlare di vita, amore e speranza

Un viaggio nel tempo e nel mondo: da Villa Peyron al Bosco di Fontelucente di Fiesole che, come si legge nell’incipit, «ha un nome che pare scritto da Petrarca. O da Biancaneve», ad Albenga negli Anni Trenta con Adelina o a New York nel 1969 con Jim e Rudy.

“Il cielo stellato fa le fusa”, l’ultimo romanzo dell’attrice e scrittrice Chiara Francini – autrice di “Non parlare con la bocca piena”, “Mia madre non lo deve sapere”, “Un anno felice”, è pura immersione nelle storie e nella Storia insieme a Clara, Angela, Marlene, Vincent, Mario, Albert, Mara e Gustav: ospiti del simposio «Hic porcos coctos ambulare», si ritrovano – loro malgrado - a doversi fermare in villa più del previsto e a raccontare ciascuno una novella.

Ad accoglierli e ad accompagnarli in questo incontro di boccaccesca memoria ci sono Lauretta, «che da tre anni ciabatta per la Villa. Mai da governante, sempre da regina» e il narratore: Rollone il Vichingo, da tutti chiamato, in villa, Rolando Rosa; appartiene alla razza perfetta, quella felina.

Chiara, lo stile del nuovo romanzo è molto diverso dai precedenti: voglia di sperimentare o un’improvvisa ispirazione a cui dare seguito?

La mia agente letteraria americana mi proposto, mesi fa, di cimentarmi proprio con il Decamerone: la sua struttura, la tipologia dell’andamento delle storie collimava con il mio amore per gli esseri umani e con la passione di mettere nelle storie il passato. Sono storie di straordinaria normalità e grande diversità, unite da un fil rouge di dialogo, vita, amore; non c’è mai nulla di prestabilito quando scrivo e mi sono appassionata all’idea e al progetto: io vado molto di pancia, nelle mie scelte, e ci ho visto una paniere in cui potevo mettere molto di me e un recinto con tanta vita all’interno.

Firenze è centrale, sia per l’ambientazione che per i tanti riferimenti: il “Cielo stellato” del titolo, si legge, «è un piatto di fulgida origine contadina, tipico di Campi Bisenzio». Come Lauretta e come lei.

Villa Peyron esiste davvero e l’ho scoperta, rimanendone affascinata, un giorno mentre andavo a recitare al Teatro Romano. L’ambientazione è legata naturalmente al riferimento a Boccaccio di cui parlavamo, ma anche al sarcasmo, alla filosofia, alla visione della vita che germogliano da quella terra, la mia.

Il lettore è cullato da una lingua musicale, in cui la ricercatezza delle scelte e delle citazioni non è mai eccessiva, ma risulta del tutto naturale. È frutto di una ricerca?

C’è sempre una grande ricerca per quanto riguarda le novelle e il passato che rievocano, ma il mio modo di esprimermi è esattamente questo. Non mi piace fare sfoggio delle citazioni, che non devono mai mettere in difficoltà, ma anzi avvolgere; apprezzo, dunque, che si riconosca la naturalità, quasi a imboccare il lettore e a creare una sinergia con il narratore.

A “coccolare” chi legge anche tanti piccoli dettagli che portano la mente all’infanzia, alla dimensione familiare, come immaginare Lauretta con indosso l’incrociatino.

Nel racconto parto sempre dalla realtà: mia mamma indossa spesso l’incrociatino e tutti hanno conosciuto qualcuno nella propria vita che lo portava. Ovviamente non è verità in toto, ma il racconto veicola una storia che affonda radici nella verità e crea un rapporto di amore come quello che ho io con i lettori.

Quali sono stati i riscontri, finora?

Credo che il dovere di ogni autore sia quello di veicolare un messaggio e condividere le idee con il lettore: io cerco di essere profondamente preparata e trovo che scrivere sia un bellissimo dovere; voglio che nel lettore rimanga la spinta alla curiosità e la necessità è che il lettore ripensi, venga colpito, rilegga. Leggere un romanzo è come scegliere di credere in qualcosa, che man mano ribolle dentro e, come i ricordi, viene fuori. Sono molto felice dei riscontri: in tanti mi dicono e mi scrivono che “Il cielo stellato fa le fusa” è un libro pieno di speranza, con cui ci si diverte e commuove, che accoglie e di cui c’è bisogno in questo momento, fatto di quello che è la vita.

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