Chiara Galeazzi: «Basta con “Poverina!” Ora vi faccio ridere»

Intervista Può un libro comico nascere da un’esperienza drammatica? Se ne parla oggi all’Ostello Bello di Como

Attenzione, spoiler: “Poverina” è un libro comico e Chiara Galeazzi non è una “sopravvissuta”.

La premessa è d’obbligo: non solo perché è la stessa autrice a precisarla, ma perché il tono con cui la vicenda legata all’ictus e al suo decorso viene raccontata è esattamente questo.

L’espressione «Poverina!» è di solito accompagnata da un’espressione contrita, con la testa piegata da un lato, ed quello che Chiara Galezzi - scrittrice freelance per Il Foglio, Domani, D di Repubblica, autrice tv per programmi comici come “Ccn - Comedy Central News” con Saverio Raimondo, collaboratrice di Michela Giraud, Edoardo Ferrario e Francesco de Carlo, speaker radiofonica per Radio Deejay - si è sentita ripetere innumerevoli volte, «dal giorno in cui il suo cervello ha misteriosamente deciso di cedere in un piccolissimo punto, provocando un gran casino». “Poverina” è anche il titolo del libro in cui lei racconta tutto quello che è venuto dopo: la lenta guarigione, la difficile ricerca di una causa: non una riflessione su quello che si capisce del mondo dopo una malattia, ma su come il mondo inizi a guardarci con occhi diversi, quando al nostro corpo succede qualcosa che non dovrebbe succedere.

Partendo da quest’ultimo aspetto: che tipo di libro è “Poverina”?

È un libro comico e il fatto che tratti dell’ictus è quasi un caso: stavo già scrivendo uno un libro comico, ma questa esperienza mi ha fornito talmente tanto materiale che è diventato il centro della storia. Alcune persone pensano che l’abbia scritto perché volevo affrontare la cosa, esorcizzarla o superarla, ma non è così. Non l’ho scritto nemmeno per fare rete o pensando alle altre persone a cui è successo, ma alcune di loro mi hanno scritto che si sono molto divertite, perché condividono o hanno condiviso il fastidio del “Poverina” o “Poverino”, oppure hanno vissuto storie altrettanto buffe.

C’è ancora chi usa il “Poverina”, anche a distanza di tempo?

Essenzialmente l’eco del “poverina” resta per quello che è successo in passato, ma c’è una differenza tra chi ha letto il libro e chi no, perché nel caso dei primi alcuni addirittura fanno mea culpa per non aver più considerato la persona oltre il dramma. In altri casi l’impressione è che alcuni non siano preoccupati per me, ma per se stessi, per il fatto che possa succedere anche a loro ed è con quella preoccupazione che mi si rivolgono. Invece di dichiararlo apertamente, però, capita che chiedano altro, che parlino di altro.

Qual è stato il processo di scrittura, considerando che molto del materiale è arrivato quasi autonomamente?

Di fatto è avvenuto scrivendo i messaggi agli amici. Avevo già scritto in precedenza dei pezzi, come in quello su Il Foglio in cui raccontavo la mia esperienza con i No Vax, e avevo spiegato alla casa editrice il modello che avevo in mente per il libro comico a cui stavo lavorando. L’idea dunque è stata raccontare cose ridicole e persone ridicole, non “pensierini” sull’ictus, poiché do per scontato che l’ictus è un dramma e non c’è bisogno di ripeterlo.Io l’ho avuto a ottobre del 2021 e ho scritto il libro - anche un po’ per scaramanzia - poco dopo il controllo previsto a distanza di un anno; la grossa parte poi è stata conclusa nei mesi vicini all’uscita, che sono stati molto produttivi; il vantaggio che ho avuto è che - era talmente tanto il materiale scritto via messaggi - che in qualche modo era già stato “provato” con un pubblico e rodato.

Il libro è uscito ormai da alcune settimane e le presentazioni sono state diverse, in giro per l’Italia - qui a Como sarà stasera, giovedì 8 giugno, alle 18.30 all’Ostello Bello. Quali sono i riscontri avuti finora?

La risposta è stata molto positiva, io ne sono molto contenta e sono felice se mi dicono che fa ridere. L’unico “problema” che ogni tanto si pone è che capita che - nonostante io spieghi continuamente che si tratta di un libro comico - qualcuno voglia inserirci cenni al dramma. Si tratta di una retorica che resta in superficie e che è difficile da smantellare. Io, però, cerco di non arrendermi.

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