E Volta disse “oui” alla sposa

Sono stati dedicati due romanzi alla relazione tra lo scienziato e la cantante Marianna Paris, ma anche il successivo matrimonio è degno di essere raccontato. Domenica 23 luglio un percorso guidato a Gravedona nei luoghi della luna di miele con Teresa Peregrini alla quale scriveva solo in francese

“Honeymoon in Gravedona” è il titolo della quinta passeggiata del ciclo “Sulle orme di Volta”, promosso da Fondazione Volta, ideato e condotto da Pietro Berra. Si terrà domenica 23 luglio dalle 16 alle 19 a Gravedona. Info e iscrizioni qui

Pietro Berra

Se mai qualcuno si decidesse a girare un film su Alessandro Volta (lo meriterebbe), i temi forti sarebbero almeno due: oltre alla scienza, l’amore.

Un consiglio al regista futuribile: non si fermi alla storia da romanzo tra l’inventore e il soprano Marianna Paris, quella che è già, non a caso, stata raccontata proprio in due romanzi (“Il professore e la cantante” di Paolo Mazzarello e “Mille scudi e cento rane” di Manlio Baccaglini). Anche ciò che accadde dopo, ovvero il matrimonio con Teresa Peregrini, ha un suo perché.

Messa a tacere la Como bene, che aveva ritenuto scandaloso l’amore tra un aristocratico e quella che la società di allora riteneva poco più di una cortigiana (ma l’opinione pubblica muterà presto e nel 1829 gli stessi comaschi omaggeranno con una targa Giuditta Pasta in vita prima dell’inventore morto da due anni), Volta nel 1794 si convince a sposare Maria Teresa Alonsa Peregrini, di nobile schiatta lariana, sponsorizzata dal fratello arcidiacono dello scienziato, quello che era stato anche il più fiero oppositore della liaison con la cantante, durata quasi cinque anni e caratterizzata da una passione travolgente. Tant’è vero che, quando persino l’amica del cuore Teresa Ciceri aveva invitato Volta a desistere perché non ne poteva più di sentir parlar male di lui al “Bottegone”, il caffè di piazza Duomo, il professore aveva scelto ri restare a Pavia con la sua innamorata anche nelle feste comandante, piuttosto che raggiungere la famiglia (e le malelingue) a Como.

Fatte queste premesse, quello con la Peregrini rischia di apparire un matrimonio combinato, così perbenista da smontare il mito dello scienziato di ampie vedute, anche nei confronti dell’universo femminile, pronto a cavalcare i venti della rivoluzione francese, che però in Italia arriveranno troppo tardi per lui, per coronare il sogno delle nozze interclassiste. Tuttavia, leggendo con attenzione l’espistolario pubblicato per le celebrazioni del 1949 (150° dell’invenzione della pila), di cui conserva una copia Fondazione Volta a Villa del Grumello, la relazione con la Peregrini appare meno banale del contesto in cui nacque.

Nella prima lettera del 3 gennaio 1794, in cui Volta tratta il tema della dote della sposa scrivendo al fratello arcidiacono, prevalgono le argomentazioni ragionieristiche: contesta il fatto che i parenti di lei non siano disposti a mettere sul piatto più di 20mila lire e, conscio del danno economico già arrecato alla propria famiglia per risarcire quella della Paris (l’arcidiacono corrispose mille scudi ai genitori della sposa mancata), si dice pronto a trattare con loro minacciando di cambiare partito, giacché le proposte non gli mancano, compresa qualcuna forte di «60 e più mille lire» di dote.

Ma un mese esatto dopo, Alessandro comincia a rivendicare il diritto di sposare Teresa prima della fine dell’anno, e a prescindere dall’entità della dote, ora scontrandosi con il fratello Luigi, che appare invece un irredimibile calcolatore. Il minore dei fratelli contesta al maggiore di averlo prima spinto a lasciare la Paris per ragioni di censo e poi a rinviare il matrimonio con la Peregrini, perché la famiglia Volta non è nelle condizioni economiche di sostenere le spese per le nozze con una aristocratica. «Se conviene lasciar passare così gl’anni - chiosa Alessandro - non serve pensar più altro a collocarmi, essendo la mia età già troppo avanzata». Quindici giorni dopo ne avrebbe compiuti 49.

Tra l’una e l’altra lettera se ne colloca una terza scritta da Volta alla Ciceri, in cui finalmente si comincia a lasciare spazio ai sentimenti: « Il fratello mio Arcidiacono in ogni lettera che mi scrive mi va dicendo, che non accomodandosi questo interesse io posso con tutta onoratezza ritirarmi, e rompere il contratto [...]; e mi fa abbastanza intendere, che farei bene a rivolgermi ad altro partito [...]. Io però non ho mancato di dolcemente rinfacciargli la sua troppa facilità di cambiare sentimenti [...], e l’indifferenza sua riguardo alle doti personali della Sposa che ho da scegliere, facendo egli stesso troppo poco conto di quelle che spiccano nella P... [...]; e niun conto quasi della mia inclinazione abbastanza spiegata». Volta chiarirà al fratello che «una grossa dote» è «non sperabile, o non compatibile colle qualità personali che io richiedo, e con quella previa inclinazione al soggetto, senza della quale non mi determinerò mai a sposare nessuna». E alla fine otterrà di fissare le nozze con “Teresina”, come la chiama lui, il 22 settembre 1794 nella chiesa di San Provino a Como.


Mandando le partecipazioni ad amici e parenti, si sofferma in più occasioni sulle doti (al plurale) della sposa. In una lettera a Giacomo Rezia, dopo aver lodato «prudenza, saviezza, intelligenza e pratica di economia domestica» di tutte le sorelle Peregrini (ben 7), sottolinea come «quella che il Ciel mi ha destinata, oltre aver sortita maggiore avvenenza di persona e amenità di carattere, avanza le altre anche nella coltura di spirito».

Certo, forse la passione non è travolgente come quella che lo aveva spinto a isolarsi con la Paris a Pavia, se in viaggio di nozze a Gravedona si porta anche il fratello arcidiacono e invita pure l’altro, il canonico Giovanni, a raggiungerli.

Però, nelle due lettere indirizzate direttamente a Teresina, il sentimento appare cristallino. E forse per una sorta di pudore nell’esprimerlo, Volta le scrive in francese e la chiama Therese. Così 19 giorni prima del matrimonio: «Vi abbraccio con tutto il cuore e con il più ardente desiderio: questo è ciò che la distanza mi permette di pensare; ma quando finirò di bramare che diventi realtà? Ancora poche settimane, e sarò felice».


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