L’omaggio di Milano
all’arte di Somaini

In occasione della mostra alla Triennale dedicata allo scultore comasco parla la figlia Luisa che ne è curatrice. «Il futuro dell’opera, secondo l’autore, è legato alla società. Il monumento deve avere un ruolo pubblico»

«Sento papà ancora vicino a me. Lavoro al catalogo ragionato delle sue opere, passo ore in archivio e ogni giorno lo ricordo, con affetto e ammirazione» dice Luisa Somaini, storica dell’arte e figlia di Francesco. Alla scultore comasco, protagonista del concretismo e dell’informale europeo, la Triennale di Milano rende omaggio con la mostra “Francesco Somaini. Uno scultore per la città. New York 1967-1976” a cura di Enrico Crispolti e Luisa Somaini, fino al 5 febbraio (catalogo Skira). Sedici sculture, quindici disegni, quattordici fotomontaggi provenienti dall’Archivio Somaini e da collezioni private per analizzare il rapporto tra arte e architettura nella metropoli di cui l’artista è stato un pioniere sia sotto il profilo teorico che quello progettuale.

Cosa condivideva maggiormente con suo padre?

La passione per l’arte. Con lui, fin da piccola, ho visitato musei e mostre in giro per il mondo, insieme andavamo alla Biennale di Venezia. Questo ha creato in me un gusto, un immenso archivio di conoscenze che non si imparano sui libri. Era molto attento alla famiglia, aveva un carattere forte senza essere autoritario, era sempre disponibile, sapeva ascoltare. Un papà artista non è mai convenzionale, il nostro era speciale.

Quale ricordo ama conservare?

Lavorando a questa mostra mi è tornato alla memoria il nostro primo viaggio negli Stati Uniti per l’inaugurazione dei suoi monumenti. Avevo18 anni, insieme abbiamo visitato musei, gallerie e loft newyorchesi. Vedere le opere d’arte, sentirle raccontare da un’artista aiuta ad analizzarle in una lettura non ufficiale, più libera, un’esperienza formativa. Venivo da una tranquilla realtà italiana, rimasi impressionata dai contrasti sociali di Manhattan, poveri che dormivano per strada, una manifestazione dei Black Panters. Ricordo che papà mi regalò dei gioielli indiani e poi mi portò a visitare le cascate del Niagara.

C’è un filo rosso che lega il percorso della mostra?

Più di uno. La materia, l’ossessione della forma, il rapporto con lo spazio, con la scultura antica e con le avanguardie. Mio padre era un uomo molto colto, aveva una grandissima biblioteca ricca di volumi sulla scultura antica, moderna, contemporanea, e di archeologia. Si nutriva di molte sollecitazioni culturali, i filoni sono tanti. In questa mostra sondiamo il rapporto tra architettura e metropoli moderna di cui New York diventa l’emblema. Abbiamo ricostruito i soggiorni dell’artista negli Stati Uniti, l’incontro con i collezionisti. Il catalogo si apre con un testo inedito di Francesco Somaini sulla crisi della città.

Suo padre affermava che “la crisi dell’arte è legata a quella della città”. Secondo lei, è ancora attuale?

L’artista ritiene che il futuro della scultura debba essere legato alla società. La città rappresenta un consorzio umano variato e importante che deve avere un destino urbano. La scultura attraverso il monumento, attraverso nuove forme in rapporto all’architettura e all’urbanistica, deve avere un ruolo pubblico. Mio padre, nei suoi testi, sostiene che la scultura non è in crisi come arte, ma è in crisi la committenza, la funzionalità. La scultura deve uscire dalle gallerie, dai musei e riuscire a interessare l’uomo comune della strada.

Alla luce degli scritti dello scultore comasco, il concetto di monumento è ancora attuale nel nostro mondo?

Sì, il monumento è l’ultimo elemento che arriva in una piazza in cui gli edifici sono preesistenti. Somaini auspica un rapporto con gli architetti e gli urbanisti per creare un insieme di collaborazione, in modo che la scultura non sia solo decorazione dell’architettura ma che ricopra un ruolo più significativo. Gli architetti di oggi, come Frank Gehry, Zaha Hadid, stanno trasformandosi in scultori, nella generazione di mio padre gli scultori pensavano come fossero architetti, si rivolgevano alla città. In un certo modo sono stati i precursori di queste nuove correnti di architettura.

Vuole dare un consiglio a chi visiterà l’esposizione?

La mostra è completata dall’installazione di un’opera monumentale all’ingresso del Palazzo dell’Arte della Triennale, poi si passa al percorso espositivo. C’è un itinerario esterno, opere di Somaini a Milano, ideato dall’Ordine degli architetti, che conduce il visitatore al monumento ai Marinai d’Italia, al Padiglione di Soggiorno di Ico Parisi dove Somaini ha inserito un’opera cubista del 1954, al Teatro Filodrammatici, restaurato da Caccia Dominioni, dove ci sono mosaici strepitosi e alla Galleria Passerella.

Da oggi al 5 febbraio alla Triennale di Milano la mostra “Francesco Somaini. Uno scultore per la città. New York 1967-1976” curata da Enrico Crispolti e Luisa Somaini, organizzata dall’Archivio Francesco Somaini in collaborazione con la Triennale (catalogo Skira). Un’esposizione significativa per ripercorre la straordinaria stagione “americana” di Somaini (Lomazzo 1926-Como 2005), protagonista del concretismo e dell’informale europeo. 16 sculture, 15 disegni e 14 fotomontaggi, provenienti dalle raccolte dell’Archivio Somaini e da collezioni private italiane, l’esposizione affronta il tema del rapporto tra arte e architettura in relazione alla metropoli moderna, nel cui ambito l’artista è stato protagonista sia in Italia che in Europa.

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