Cadere e rialzarsi: Lucrezia, che lezione

La storia Una passione sviscerata per il pattinaggio, una diagnosi spaventosa, la forza di ripartire. E di tornare a vincere

«In questo periodo, cinque anni fa, facevo la mia ultima competizione, sicura che avrei gareggiato ancora e ancora...». Ed invece, per Lucrezia Muretti, pattinatrice dell’Asga, 17 anni di Cermenate, il destino aveva deciso in modo diverso. Crudele. Mettendole di fronte un percorso complicato, fatto di ospedali, trapianto, angoscia, incertezza per il futuro. Pareva un filo spezzato, doloroso da togliere il fiato e prosciugare le lacrime, un filo che la determinazione e la bravura dei medici hanno permesso di riannodare. Con un epilogo che più bello non poteva essere. Il ritorno alle gare, «esattamente cinque anni dopo», addirittura con il podio.

Un secondo posto per di più nella gara di casa, davanti ad amici, “colleghe” pattinatrici, tecnici, persone che quel cammino di ombre ma anche di luci l’avevano seguito fin dal primo giorno. Ci sono storie che meritano di essere raccontate. Perché semplicemente sono belle, perché commuovono e riempiono il cuore, perché – soprattutto in questo caso – possono dare forza, determinazione, un obbiettivo possibile da raggiungere ad altre persone.

Ma partiamo dall’inizio. Lucrezia ha 4 anni quando si innamora del pattinaggio vedendo un programma in tv e poi, a Casate, venendo catturata dal colore blu delle divise dell’Asga, una delle società di pattinaggio comasche. In famiglia sono tutti sportivi, ed anche il fratello gemello inizia con lei a scivolare sul ghiaccio. Lucrezia è brava. Solo due anni dopo, nel 2012, arrivano le prime gare regionali, poi nazionali, infine internazionali, nel 2018 a Innsbruck. «Sei giorni su sette eravamo a Casate, 15 ore alla settimana sul ghiaccio – ricorda oggi la madre Michela Musante, che ha raccontato la sua esperienza in un libro, “L’ospite”, edito da Ancora – Sembrava l’anno per spiccare il volo...». Sembrava.

Mentre Lucrezia prepara una importante gara a Bolzano ecco i primi problemi: stanchezza, dolori alla schiena, poca voglia di mangiare. La fortuna, a posteriori, fu un ricovero della mamma per un intervento programmato. Lucrezia andò a trovarla all’ospedale di Erba. Alla mattina era andata a scuola, sempre stanca. Appena i medici la videro al cospetto del genitore, guardandola in volto, intuirono subito. «Fu ricoverata d’urgenza – ricorda la madre – Mi si fermò il cuore. Non capivamo cosa stesse accadendo, eravamo sotto choc, anche i medici per quello che stavano vedendo. Il fegato si era completamente fermato. Lucrezia alla mattina era andata a scuola e al pomeriggio era quasi in coma». Si pensò all’epatite, poi a Erba - «medici fantastici», ringrazia ancora oggi la madre – capirono che era altro. E quell’altro prende il nome di malattia di Wilson, genetica, che porta il fegato, che era ormai una pietra, a non espellere più il rame. Il 9 aprile Lucrezia entrava all’ospedale di Erba per visitare la madre, l’11 aprile era già a Bergamo, al Papa Giovanni XXIII, centro di eccellenza a livello mondiale per questa malattia. «Mi ricordo il trasporto in ambulanza – prosegue la madre, che ad ogni parola che aggiunge toglie il fiato a chi l’ascolta – Gridavano “corri corri sennò questa bambina non ce la fa...”. A Bergamo ci aspettarono due medici nel piazzale, pochi minuti dopo Lucrezia aveva 3 mila tubi e altri cinque medici attorno al letto». «Vostra figlia sta morendo, ci dissero».

In questo mondo improvvisamente sottosopra, con il cielo che diventa nero anche senza nubi, gli angeli con il camice bianco indicano la via, l’unica via, in un quadro clinico ormai compromesso: il trapianto. «Sono riusciti a tenermela in vita fin quando, il Venerdì Santo del 19 aprile 2019, ci fu l’intervento. Vidi un attimo Lucrezia, mi disse “ciao mamma”, non aveva paura». Sette ore e mezza in sala operatoria, il decorso positivo. Il 6 maggio Lucrezia esce dall’ospedale, con il suo bagaglio di controlli infiniti e farmaci a vita, e il 26 ottobre 2019 torna in pista a Casate. «Tutto il palazzetto piangeva», ricorda la mamma. Eppure non era finita.

Il Covid, la pandemia, le chiusure. Poi, quando la vita torna a scorrere e le attività a riprendere, ecco il rigetto d’organo. «Aveva appena finito uno stage ad Assago». Di nuovo Bergamo, di nuovo l’ospedale e il ricovero, ed infine il crollo psicologico. «Non voleva più pattinare, io la lasciai tranquilla ma non era felice», dice la madre.

Ma in questa storia devastante c’è il lieto fine. Perché Lucrezia lontano dal ghiaccio non sa stare. Nel settembre 2022 rimette i pattini, «solo per poco», dice. Ma davanti a lei ci sono le sue vecchie maestre, «insegnanti straordinarie» aggiunge la mamma. E poi ci sono le nuove amiche che pattinano con lei, che la prendono per mano, la coccolano e che riescono a condurla dove in fondo Lucrezia voleva arrivare.

Non più buio, ora solo luce. Quella del palazzetto del ghiaccio di Casate, sabato 2 marzo scorso. Lucrezia è di nuovo in gara. I cuori della madre, del padre, del fratello, delle insegnanti, delle amiche, sono tutti con lei, per lei. Parte la musica. Cade subito, si rialza, proprio come in una metafora della sua vita. Il ghiaccio scorre e lei l’accarezza. È seconda, sul podio. «Le maestre piangevano – dice la madre – tutti piangevamo». «Mamma, sono tornata a casa», sono state le poche parole dette da Lucrezia poco dopo, splendida e circondata da compagne e insegnanti «alle quali – scriverà loro in un messaggio – voglio un bene immenso». «La felicità totale? Esiste – conclude la madre salutandoci – L’ho vista in mia figlia, proprio in quel momento».

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