Morì in cantiere lavorando in nero.
A processo il titolare della ditta

La vittima, un trentenne di Rovellasca, cadde per 5 metri dal tetto di un capannone dell’ex stamperia di Camerlata. Venne portato in pronto soccorso dai colleghi: «Mentirono sul luogo dell’infortunio»

Il proprietario di una ditta di giardinaggio e il suo responsabile della manutenzione giardini sono finiti davanti al giudice con l’accusa di omicidio colposo. Secondo la Procura è colpa loro se, il 17 gennaio di due anni fa, un operaio rimase vittima di un grave infortunio sul lavoro che provocò la sua morte, dopo sei mesi in rianimazione.

Si è aperta - ma è stato rinviato al nuovo anno, per consentire un eventuale risarcimento del danno - l’udienza preliminare a carico di un 52 enne di Rovellasca, e di un 46 enne di Rovello Porro, il primo titolare delll’azienda incaricata nel 2013 di pulire, caricare e portar via i materiali contenuti nei capannoni e nei piazzali dell’ex stamperia di Camerlata di via Cumano; il secondo preposto a far rispettare la materia antinfortunistica.

Vittima dell’infortunio Roberto Albani, poco più che trentenne all’epoca dei fatti, di Rovellasca. Secondo l’accusa Albani lavorava “in nero” . E quel giorno secondo l’accusa - stava rimuovendo dei fogli di catrame dalla copertura di un capannone, a cinque metri di altezza senza neppure essere regolarmente assunto. Su quel tetto ci era salito senza cinture di sicurezza, anche perché - contesta la Procura - nessuno aveva predisposto una linea vita per consentire agli operai di “ancorarsi”. All’improvviso Albani ha perso l’equilibrio, precipitando al suolo e riportando lesioni gravissime.

Anziché chiamare il 118, furono i colleghi stessi a portare l’uomo in pronto soccorso. Ai sanitari prima e ai carabinieri poi raccontarono che era caduto da una catasta di legna mentre si trovava nell’azienda a Rovellasca.

Quello che avvenne veramente - almeno secondo la Procura - emerse soltanto dopo diverso tempo. Stando alle contestazioni, formalizzate nell’udienza che si è aperta davanti al giudice e che è stata rinviata, il datore di lavoro “di fatto” della vittima avrebbe minacciato i colleghi di Albani esortandoli a mentire agli inquirenti.

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