Accordo tra Italia e Svizzera. Frontalieri in telelavoro al 25%

Confine Ora è ufficiale l’intesa per regolamentare l’attività da remoto. Documento in tre punti

Ora è ufficiale. Le autorità di Italia e Svizzera ieri hanno firmato un doppio accordo amichevole sul telelavoro dei frontalieri. Ne ha dato notizia nel tardo pomeriggio il sindacato ticinese Ocst. «Contestualmente i due Paesi hanno anche parafato un protocollo di modifica al nuovo accordo sulla tassazione dei frontalieri stessi per implementare tali misure sul telelavoro all’interno del testo bilaterale».

Il nocciolo della questione sta nel fatto che dal 1° gennaio tutti i frontalieri potranno lavorare da casa per il 25% del tempo di lavoro «senza temere impatti di alcuna natura». In buona sostanza, è stato confermato l’accordo per un giorno a settimana o comunque per la media di un giorno a settimana da gestire nell’arco dell’anno, lontano da quel 40% (2 giorni la settimana) che ha rappresentato - ad esempio - la base dell’intesa con la vicina Francia. Quanto agli aspetti tecnici e giuridici dell’intesa, il sindacato Ocst ha isolato sostanzialmente tre punti. Anzitutto, «nel primo accordo amichevole vengono confermate le norme transitorie valide fino al 31 dicembre per i frontalieri fiscali (ovvero i frontalieri dei “Comuni di confine”) assunti entro il 31 marzo 2022». Il secondo punto riguarda il fatto che «viene pattuito che tutti i frontalieri, a partire dal 1° gennaio 2024, potranno lavorare da casa per il 25% del tempo di lavoro senza avere modifiche nel proprio status fiscale» (ne abbiamo dato conto poc’anzi). Questo accordo amichevole - ha precisato il sindacato Ocst - avrà una durata di due anni ovvero fino al 31 dicembre 2025. Da qui l’ultimo dei tre punti e cioè che «entro la scadenza del nuovo accordo amichevole, queste misure verranno accolte e quindi confermate a tempo indeterminato all’interno del nuovo accordo sulla tassazione dei frontalieri». Di fatto si è chiusa così una vicenda, che ha tenuto a lungo banco su entrambi i lati del confine, con una parte della politica ticinese che più volte ha provato a raffreddare l’intesa, spiegando che in questo modo «il personale residente non avrebbe avuto possibilità alcuna di trovare un impiego in caso di offerta comune con un frontaliere».

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