Storia dei “tirabagia” e di una industria ormai scomparsa

Da leggere Un libro scritto da Emilio Magni ripercorre la storia degli operai addetti alle barre incandescenti

Finalmente, grazie a Lariofiere, è stata ricordata l’industria metallurgica e meccanica (laminatoi, trafilerie, stamperie) che è stata, e lo è ancora, fulcro dell’industria anche in Alta Brianza e non solo nel Lecchese . In occasione di “Fornitore offresi” è stata dedicata una conferenza alla storia delle lavorazioni del ferro e in questo ambito è stato pubblicato un libretto di poche, ma intense pagine e immagini che ricordano gli operai chiamati in dialetto “tirabagia”.

Chi erano i “tirabagia”?. Erano gli operai addetti ai laminatoio ai quali veniva assegnato il compito di afferrare la barra d’acciaio incandescente con una grossa pinza e infilarla nel laminatoio successivo.

Un mestiere assai pericoloso, cui occorreva destrezza e forza. Molti sono stati vittime di incidenti, alcuni hanno perso la vita, altri sono rimasti feriti. Ora a compiere questo lavoro vi sono robot che vengono comandati dai computer.

Il testo del libretto dal titolo “Tirabagia” è del giornalista Emilio Magni che da tempo si occupa della storia delle industrie locali. L’opera è corredata da alcune foto, due delle quali concesse a Magni dalla televisione della Svizzera Italiana che, in tempi lontani, aveva dedicato un documentario alla siderurgia lecchese. In copertina vi è invece un’immagine del laminatoio della Metallurgica Meroni di Erba, azienda che ha fatto la storia erbese. Era laminatoio, fonderia, meccanica, fucina. Vi lavoravano 600 operai.

Magni spiega anche da dove viene il termine “tirabagia”. Lo dice Gianfranco Scotti nel suo dizionario del dialetto lecchese. Deriva dalla “bagia” , la fascia che gli operai legavano intorno alla vita. Collegata a una catena, all’altro capo infissa a un palo, evitava all’operaio di oltrepassare il limite di sicurezza, avvicinandosi troppo alla barra incandescente. Serviva anche puntellare l’operaio.

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