Frates: «Ve lo do io il Friuli. Occhio a Cividale, ma Cantù è pronta»

Parla il direttore sportivo della S. Bernardo. «Gli anni a Udine e Gorizia mi hanno fatto innamorare di quella terra»

Ce lo da lui il Friuli. Nel senso che, nella settimana di sosta prima dell’avvio dei playoff, Fabrizio Frates, direttore sportivo di Acqua S. Bernardo Cantù, mentre guarda alla sfida con Cividale nei quarti, sa che si ritrova nella stessa parte del tabellone di Udine e ripensa alle sue quattro stagioni da allenatore là.

Stupito dei risultati delle friulane?

Assolutamente no. Anche perché allargando l’area geografica non dimenticherei Trieste. Manca la “mia” Gorizia, ahimè down nei campionati senior che contano, e non c’è più la squadra forte riferimento della regione. Ma la storia, i grandi personaggi dati al basket regionale e italiano, l’entusiamo e le rivalità restano. Eccome.

E, a proposito di rivalità, ce lo spiega uno che, con Gorizia venne in serie A battendo Trieste in finale...

Appunto. Lo dite a me che ho allenato due anni a Gorizia e due a Udine. In mezzo a gente speciale, con la quale forse non è facile entrare inizialmente in confidenza, questione di carattere, ma poi quando accade ti si apre un mondo e le relazioni che instauri restano per tutta la vita. Bello starci, bello tornarci e continuare ad avere amicizie come punti fermi.

Trieste, invece?

Io non l’ho vissuta. Ma anche a distanza respiri il fascino di una città stupenda, crocevia di popoli ed esperienze. E ti accorgi anche della differenza delle due anime: il friulano, per antonomasia, dedito al lavoro, prima fa e poi si diverte, e il giuliano che respira quella vita fronte mare, si gode il bel tempo, la spiaggia e il loro fascino.

Volesse sintetizzare queste situazioni in due giocatori?

Non avrei dubbi. Michele Mian è il prototipo del friulano vero. Solido, affidabile, speciale, lavoratore indefesso e che, grazie alla sua forza di volontà, è andato oltre i limiti tecnici e fisici. Lo hanno conosciuto e apprezzato anche i tifosi canturini, fortuna loro. E dall’altra parte Andrea Pecile, la fotografia, il sorriso e la spontaneità del triestino.

Veniamo a noi e a Cividale. Sorpreso da quanto siano riusciti a creare con Udine a due passi?

No, un po’ per il discorso sulla grande rivalità e un po’ perché essendo formata da una sorta di costola di ex udinesi c’era già una conoscenza baskettara che il presidente Davide Micalich è stato bravo a sfruttare per mettere assieme uomini e sponsor.

Ma perché sempre frammentarsi?

È nella mentalità italica. A miei tempi, l’idea di Stefanel, allora patron a Trieste, fu quella di coinvolgere i Terraneo - tra l’altro canturini - di Gorizia e gli Snaidero di Udine per creare un’unica realtà di altissimo livello per la serie A, costruendo il palazzo dello sport a Palmanova. Progetto meraviglioso, che non andò mai in porto anche per via proprio delle rivalità.

Cividale che piazza è?

C’è una grande atmosfera al palazzo e tanto entusiasmo. Una bellissima realtà, tutti pensavano potesse essere una scommessa dal nulla, non è stato così. Evidentemente c’era voglia e si è riusciti subito ad accendere la piazza, catalizzando l’interesse. Diciamo che ha preso il posto di Gorizia.

Salva, e con il clamoroso exploit di dieci vittorie su dieci, potrebbe arrivare appagata al quarto di finale contro di voi?

Lo escludo. Sono in gas. Hanno trovato equilibrio e Doron Lamb ha garantito il salto di qualità. In più hanno un grandissimo allenatore come Stefano Pillastrini. Mi piacerebbe tanto poterli trovare appagati, ma non sarà così. Anche perché la prospettiva di una possibile semifinale contro Udine dà a loro ancora più stimoli. Comunque vada, Cividale sta vivendo un momento storico.

Il precedente poco esaltante della fase a orologio è già bello che messo via o va metabolizzato?

Messo via è stato messo via. Rimane però la nostra partita orribile, soprattutto nel secondo tempo, quando testammo la loro reale forza. Vi assicuro che non andammo là con presunzione, perché loro erano già in striscia. Non credo che andremo là presuntuosi ora, dopo le ultime vittorie. Primo per via del fatto che siamo nei playoff e poi per la nostra grande ambizione. Detto questo, loro e Rimini sono gli avversari peggiori che avremmo potuto trovare al primo turno.

Come sta Cantù?

Dopo il momento difficile vissuto, nel quale c’è stata dentro anche la sconfitta proprio con Cividale, molto figlia di quella contro Rimini con la rimonta subita negli ultimi due minuti, siamo riusciti a compattarci e uscirne bene, con i tre risultati di fila, compresa la vittoria in casa di Forlì, la prima indiscussa dell’altro girone.

Visti anche i precedenti delle ultime due stagioni e tutte le manfrine sul fattore campo, lei crede a questo vantaggio nella lotteria dei playoff?

Ovvio che il nostro pubblico sia un fattore e dia una bella spinta, sono convinto però che le squadre forti siano quelle che sanno vincere anche in trasferta. Per cui ci può stare anche che si inciampi in casa e poi si vada a raddrizzare le cose fuori. Che il fattore campo non diventi un alibi o crei false aspettative.

Differenze con le ultime due esperienze?

Sono tre situazioni molto diverse. La prima stagione fu quella segnata dal forfait di Robert Johnson, il miglior giocatore del campionato, e dall’infortunio di Luigi Sergio, che a noi dava equilibri incredibili e che non venne rimpiazzato. Arrivammo a giocarci la promozione con la squadra che non era più quella iniziale. L’anno scorso avevamo davanti alcune situazioni favorevoli che non siamo riusciti a cavalcare. Compresa l’eventuale bella in casa anche in finale e contro una Torino che era arrivata lì a pezzi. Entrammo in fiducia, poi l’episodio della bottiglietta cambiò l’inerzia. Stavolta ci arriviamo da miglior seconda del campionato, con la consapevolezza del roster di Trapani fuori dalla portata economica di ogni rivale. Però ci siamo, con grande fiducia, ma anche la convinzione di far parte di una campionato equilibrato e di una rosa molto allargata di squadre che puntano a salire.

Che serie sarà?

Lunga, come lo saranno forse tutti e tre i turni. Potrebbe non essere un male. Prepariamoci.

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