«Una follia quella di papà. E mamma di basket ci capiva»

Alessandro Corrado, ex presidente della Pallacanestro Cantù: «I giocatori? Kaukenas il più forte, Stonerook quello ideale e il più pagato, Hines e Schortsanitis i più... estrosi»

“Dentro” alla - o nella, fa lo stesso - Pallacanestro Cantù dal 1999 al 2011. Dodici anni all’interno della stanza dei bottoni. Ovvero, là dove si prendevano le decisioni. Dapprima, sino all’estate 2008, quale componente la famiglia proprietaria del club, nel ruolo di delfino di papà Francesco, e poi in veste di presidente con la titolarità della società nel frattempo assunta dal gruppo Ngc riconducibile alla famiglia Cremascoli. Alessandro Corrado, oggi 55enne, ne aveva 31 quando il babbo sventò la cessione del diritto di Serie A di Cantù dopo l’uscita di Polti acquistando il club il 7 giugno 1999.

Suo papà santo subito, si disse.

La verità è che si trattò di una pazzia. Innanzitutto sul piano economico perché in quegli anni acquistare una società di A costava davvero parecchio, a differenza di ora.

E in secondo luogo?

Perché a dargli manforte si era creato un gruppo di persone, la maggior parte delle quali tuttavia dopo l’effettiva acquisizione si diede per dispersa. In quelle condizioni era un’impresa disperata proseguire, eppure lui decise di continuare con quei pochi soci rimasti.

Sua mamma Anna non era particolarmente felice, per usare un eufemismo.

No, era proprio arrabbiata e lo è rimasta per diverso tempo dopo aver appreso la notizia dell’acquisto. Anche se poi avrebbe supportato papà in ogni sua decisione. Posso confessare che, sotto l’aspetto tecnico, di basket capiva più lei che papà.

Il budget in quelle stagioni a marchio Corrado a quanto ammontava?

Tolta la prima nella quale rilevammo dei contratti già in essere aggiungendo di nostro gli ingaggi di Rencher, Shaw e Ravaglia, per cui non può far troppo testo, la stima va dai 3.5 al 4.5 milioni di euro.

E quanto rientrava?

Da ripianare c’era ogni anno un disavanzo che si aggirava tra i 300 e i 400 mila euro. Che veniva coperto anche grazie ai soci.

Lo sponsor più generoso?

Oregon Scientific ha rappresentato un partner molto forte. Con cifre che ancora adesso farebbero gola a molti club.

Da proprietari avete vissuto stagioni esaltanti in rapporto alle disponibilità economiche.

Vero, ma le annate iniziali furono toste. La prima a causa della tragica morte di Chicco Ravaglia che segnò il resto dell’annata e la seconda per via dell’esonero di coach Franco Ciani.

Dopodiché?

Dopodiché venne “liberalizzato” il numero di stranieri da poter tesserare. E con il mercato libero fummo bravi e forse anche fortunati a pescare americani poi rivelatisi di ottimo livello. La squadra che fu semifinalista playoff, ad esempio, ritengo avrebbe potuto lottare per lo scudetto anche in questi tempi.

Vinceste una Supercoppa.

Mai ce lo saremmo aspettati di battere uno squadrone come la Benetton e per di più a Treviso. Ricordo che durante il viaggio in auto con la famiglia alla volta del Palaverde ci dicevamo “speriamo almeno di fare una bella figura e di non venir travolti”. Il ritorno nella tarda serata a Cantù con la Coppa fu un’autentica apoteosi con tutta quella gente ad attenderci per festeggiare.

Buttiamo lì un paio di episodi a mo’ di rimpianto: l’infortunio di Thornton nella finale di Coppa Italia contro Treviso e l’ingiusta espulsione di Hines nel corso della “bella” di semifinale con la Fortitudo. Quale ha fatto più male?

Credo quello di Bootsy perché avevamo in mano la partita e sono certo che con lui in campo non l’avremmo persa quella finale. Quanto al Paladozza, mi ha lasciato meno il segno perché anche qualora avessimo vinto quella gara e conquistato la finale ritengo non avremmo avuto scampo in una serie con quella fortissima Benetton.

Circoscriviamo l’analisi agli anni della vostra proprietà: qual è il giocatore a cui è rimasto più legato?

Antonello Riva, che peraltro già conoscevo. Ma mi sono affezionato tanto anche a Stonerook. Però...

Però?

Pur se la sua presenza da noi è durata purtroppo soltanto pochi mesi, ero entrato in profonda sintonia con Ravaglia. Sono quei legami che nascono così, senza una ragione specifica. Per i miei era come un figlio e a mia mamma amava ripetere spesso che un giorno avrebbe voluto sposare mia figlia Barbara. Aspettava solo che crescesse...

Il più forte?

Sono in difficoltà. Forse Kaukenas se parliamo di tecnica, di sicuro Stonerook per il ruolo che ha avuto all’interno della squadra. Il collante, l’uomo che più faceva gruppo e che più si spendeva per i compagni.

Il più pazzo?

Hines era piuttosto estroso... Ma pure Schortsanitis non scherzava. Del resto aveva 18 anni. Ricordo che una volta ricevuto il suo primo stipendio si fece accompagnare in un negozio Media World dove spese 7-8 mila euro tra l’incredulità della cassiera.

Il giocatore più pagato?

Stonerook nella sua ultima stagione da noi.

Il meglio pagato nel rapporto qualità/prezzo?

Tutti gli americani della stagione 2001-2002. Semisconosciuti e dunque con ingaggi contenuti, ma con esiti eccellenti sul campo.

Bruno Arrigoni cos’è stato?

La nostra fortuna. L’enciclopedia del basket italiano ed europeo e un profondo conoscitore dei giocatori Usa. Con i budget che gli mettevamo a disposizione sapeva compiere autentici miracoli.

I suoi 12 anni sono stati attraversati da quattro allenatori. Vuole dare un giudizio su ciascuno di loro?

Ci provo.

Ciani.

Una persona troppa buona. A causa del suo handicap fisico riceveva insulti talmente squallidi che mi facevano vergognare.

Sacripanti.

Un fratello minore. Con lui ho un rapporto speciale. È uno che ha carattere e che sa imporsi. L’ha fatto anche da “ragazzino” con noi quando ci impose di non tagliare Thornton.

Dalmonte.

Un bel peperino, uno tosto. È stato molto importante per noi perché ha preso in mano una squadra ricostruita a seguito delle ristrettezze economiche con l’affacciarsi delle incertezze sul futuro.

Trinchieri.

Fuori dal campo non l’ho frequentato, ma in tutti questi anni ha dimostrato di essere ampiamente all’altezza anche in Eurolega. Non me ne vogliano gli altri, ma per me è il più forte.

Ora il capitolo Alessandro Corrado presidente, l’ottavo nella storia del club. Aveva 39 anni in quel novembre del 2007.

Sono stati anni di grandi soddisfazioni sportive con una finale scudetto raggiunta che ci avrebbe riportato in Eurolega. Mi sentivo come Alice nel paese delle meraviglie.

In che senso?

Essendo un presidente più nella forma che nella sostanza poiché nel frattempo la famiglia Cremascoli - gliene dovremo sempre essere grati - era entrata prepotentemente nel club, mi faceva un certo effetto vedere l’ingaggio di giocatori che in precedenza nemmeno ci potevamo sognare. Abituati come eravamo a centellinare ogni euro per far quadrare il cerchio e far tornare i conti.

Un riassunto della sua dozzina di anni alla Pallacanestro Cantù?

Una bellissima avventura, ma al contempo anni “pesanti” quanto a ripercussioni familiari perché non c’ero quasi mai per loro.

È anche per questo che una volta fuori non si è più visto?

Quando sono uscito ho detto basta. Fino all’avvento di Gerasimenko ho seguito ancora un po’, dopodiché stop.

E si è inventato ristoratore.

Ho sempre avuto la passione per la cucina e il desiderio di gestire un ristorante/trattoria. Era un sogno. Così, a 50 anni, con il socio Matteo Boghi abbiamo aperto l’Usteria Pianèla a Cantù. A me piace stare in mezzo alla gente e così posso dire di sentirmi pienamente realizzato perché questa è veramente la mia vita.

© RIPRODUZIONE RISERVATA