Il Tar dà torto al Comune sulla moschea: «Negato il diritto di culto»

Cantù Il Tribunale riconosce tecnicamente «il permesso di costruire». Latorraca: «Disconosciuti gli atti contro Assalam. L’associazione risollevata da tante amarezze»

«Questa sentenza risolleva Assalam da tante amarezze. Significa che quando dicevamo che a Cantù si negano i diritti fondamentali, dicevamo il vero». Non nasconde la soddisfazione Vincenzo Latorraca, legale dell’associazione islamica cittadina, che da sette anni fronteggia l’amministrazione comunale nelle aule di tribunale per poter utilizzare il proprio immobile in via Milano per pregare.

Ieri è stata depositata dal Tar di Milano la sentenza che, annullando il secondo diniego della domanda di permesso di costruire per luogo di culto, accoglie il ricorso di Assalam, riconoscendo che il Comune di Cantù deve consentire l’esercizio della libertà di culto laddove siano rispettate le norme di legge, a cominciare dalla Costituzione, e regolamenti.

«Sancito dalla Costituzione»

Ad annunciarlo gli avvocati che hanno rappresentato il sodalizio, Latorraca, Mario Lavatelli e Michela Luraghi. «Dall’accurata motivazione della sentenza – sottolineano - emerge il fil rouge, vale a dire l’assoluta rilevanza del diritto di culto, sancito dalla Costituzione, la necessità di luoghi dedicati, come chiarito in più occasioni dalla Consulta, nonché il dovere dell’amministrazione di condurre un’adeguata istruttoria con adozione di provvedimenti motivati, non essendo mai ammissibile che la discrezionalità sfoci nell’arbitrio». Pronunciamento netto, visto che, si legge nella sentenza della quarta sezione del Tar di Milano, «tutte le ragioni addotte dall’amministrazione a fondamento del diniego sono dunque illegittime».

In particolare, in riferimento alla pretesa mancanza di corrispondenza tra lo stato di fatto rappresentato negli elaborati e l’esistente, il tribunale amministrativo ha evidenziato che è onere del responsabile del procedimento «accertare d’ufficio i fatti e attivare il soccorso istruttorio per consentire all’istante di rettificare dichiarazioni o istanze erronee e incomplete». Ma, si afferma, il Comune ha «violato questa disposizione». Dovendosi pronunciare su un’istanza presentata nel 2014, insomma, piazza Parini avrebbe dovuto richiedere se necessario rettifiche o integrazioni e non limitarsi a negare la concessione del permesso di costruire. La sentenza smonta una alla volta tutte le motivazioni opposte per non concedere il rilascio del titolo edilizio ad Assalam. Anche rispetto al dichiarato accertamento di un utilizzo abusivo dell’immobile, in origine a uso produttivo, e alla sua acquisizione al patrimonio comunale, il Tar spiega che il passaggio di proprietà del capannone al patrimonio comunale, con la richiesta di consegna delle chiavi, è stato annullato «stante la fondatezza della censura con cui la ricorrente ha denunciato la contraddittorietà del comportamento del Comune di Cantù».

Come affermato dal Consiglio di Stato nel 2023, la fondatezza della pretesa dell’ente di acquisire il possesso del bene è condizionata alla definizione del rapporto amministrativo inerente la richiesta di permesso di costruire per l’insediamento di un luogo di culto, presentata fin dal 2014, « cui è correlato l’esercizio di una libertà costituzionalmente garantita qual è quella religiosa». Quindi «Il provvedimento sanzionatorio adottato e i relativi effetti non possono costituire una ragione per negare il rilascio del titolo» Il Tar ha condannato il Comune anche a liquidare le spese di giudizio, quantificate in duemila euro.

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