Ats, zero chiamate ai malati in casa
E sui letti all’ex S. Anna regna il caos

Ex Asl sotto accusaIl racconto di una donna contagiata con il padre di 92 anni: «Lasciati soli». Ipotesi medici di famiglia per seguire i convalescenti in via Napoleona: «Ma non è fattibile»

Malati a casa lasciati soli , e medici di base sul piede di guerra per il reclutamento su base volontaria per vigilare sui 40 posti letto nell’ex Sant’Anna che saranno destinati ai pazienti Covid in via di guarigione.

L’emergenza coronavirus, se da un lato ha mostrato il lato migliore dei nostri ospedali, ha evidenziato lentezze e inefficienze sul fronte organizzativo, quello in capo all’ex Asl, oggi chiamata Ats. In queste ore l’ennesima matassa da sbrogliare riguarda il nuovo reparto convalescenti: l’Asst - d’accordo con Ats - ha chiesto ai medici di base di mettere a disposizione cinque ore per la nuova struttura, sollevando le proteste dei camici bianchi, secondo i quali si andrebbe così a impoverire ulteriormente la sanità sul territorio. Che in queste drammatiche settimane ha già dimostrato quando la coperta sia corta.

Rivela i problemi dell’Ats anche l’ennesima testimonianza: «Ho avuto i primi sintomi il 24 marzo - racconta Anna, 55 anni - Ero a casa di mio padre, che ha 92 anni, e nel dubbio ho deciso di tornare a casa mia per evitare di contagiarlo. Il giorno dopo ho 40 di febbre, tosse e perdo gusto e olfatto, e intanto mio papà mostra gli stessi sintomi, in forma più lieve. Il 26 chiamo il 112, il numero verde della Regione e il medico di base . Mi chiedono se abbiamo difficoltà e respirare, sintomi che non avevamo, e il medico ci prescrive un antibiotico». Il 29 Anna torna dal padre: «Ormai stava male anche lui, era inutile state separati, e certo non potevo lasciarlo solo». Il 28 marzo un congiunto che lavora in una struttura sanitaria fuori provincia riesce a far eseguire il tampone ad Anna e al padre, e l’esito conferma il contagio.

Altre telefonate

«A quel punto ho ricominciato il giro delle telefonate: 112, Regione e medico, avvisando che, anche se ero in quarantena, ero tornata da mio padre per assisterlo, e comunicando che ero positiva».

Il medico prescrive, come da protocollo, il Plaquenil. Ma nessuno mai si fa vivo per sapere come stanno Anna e suo padre, nessuno li ha mai visitati. «Richiamo ancora io il medico e mi faccio prescrivere una bombola d’ossigeno per mio padre. Fra il 31 marzo e il 1 aprile papà peggiora, ma con l’ossigeno e un saturimetro che mi aveva procurato lo stesso parente che ci aveva fatto avere i tamponi tengo la situazione sotto controllo. Il 2 ha una crisi gravissima, delira, chiamo l’ambulanza e viene ricoverato. Io resto a casa, chiedo al medico una bombola d’ossigeno anche per me, poi lentamente miglioro, mentre anche mio padre supera la fase critica. Il 16 aprile ho ritenuto fosse il caso di sapere se potevo fare un altro tampone per verificare se ero ancora positiva, soprattutto in vista di un ritorno di mio padre: ricomincio la trafila, 112, Regione, medico curante. Il quale mi dice: “Ma si figuri se le fanno un tampone, non li fanno nemmeno a noi medici di base”». Anna cerca su internet, e dopo un po’ di tentativi trova il numero verde di Ats Insubria, che dice che la chiameranno. E in effetti i a un mese dall’inizio di una malattia che si è gestita da sola, Anna fa il secondo tampone.

Tutto da sola

«Ma non è questo mese a indignarmi - dice - credo che corrisponda ai protocolli. E’ il fatto che siamo stati del tutto abbandonati, persino il numero di Ats ho dovuto cercarmi da sola. Siamo stati fortunati, innanzitutto perché siamo guariti: ma mi chiedo, se non ci fosse stato quel parente ad aiutarci, come sarebbe finita? Io credo che mio padre non se la sarebbe cavata».n B.Fav.

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