Dal Ticino con un milione nel cruscotto: reato prescritto, il giudice gli ridà i soldi

Fuga di capitali Operaio comasco fermato del 2012 con un tesoro nascosto in un doppiofondo. L’inchiesta per riciclaggio tarda ad arrivare a giudizio e così ora il denaro viene restituito

Cinquemila banconote da 200 euro pigiate in un doppiofondo realizzato dietro al cruscotto dell’Audi. Già così il rinvenimento di tutti quei soldi (complessivamente 1.046.195 euro tutti i contanti) suona sospetto. Se poi si pensa che l’auto a bordo della quale viaggiavano arrivava dalla Svizzera, il sospetto si fa ancor più concreto. E se, infine, si scopre che il “proprietario” di quel tesoro è un operaio con un reddito tale da non permettergli certo di mettere insieme risparmi così ingenti, ecco che il sospetto si tramuta in una accusa di riciclaggio di denaro (per conto terzi, peraltro).

Il fatto è che da quel sequestro sono passati quasi 12 anni. E mai nessun processo è stato celebrato. Il reato si è così prescritto. L’accusa è stata archiviata. E un giudice ha deciso che quel milione - abbondante - di euro dev’essere ora restituito al “legittimo” proprietario.

Il milione restituito

Il giudice dell’esecuzione di Como, Massimo Mercaldo, ha accolto il ricorso presentato dall’avvocato comasco Giuseppe Sassi che ha chiesto la revoca del provvedimento di confisca dei contanti sequestrati nel febbraio 2012 dal Gruppo di Ponte Chiasso della Guardia di finanza a Luca Brunelli, all’epoca quarantenne. Fermato mentre rientrava in Italia dalla Svizzera con i soldi nascosti in un doppiofondo dell’auto.

Quel sequestro rientrava in un’indagine ben più ampia sui cosiddetti spalloni di valuta, corriere di denaro che trasportavano (in realtà sarebbe più corretto dire trasportano) contanti da e per la Svizzera per conto di clienti di istituti di credito e fiduciarie interessati a non far conoscere al fisco i loro movimenti bancari.

Il giudice ha richiamato le pronunce della Cassazione in base alla quale «nel caso di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione non è consentito disporre la confisca diretta del profitto del reato». Di conseguenza «la confisca», scrive il giudice, può «essere disposta solo a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna».

I lingotti d’oro

Respinta, invece, l’opposizione alla confisca di 1,4 milioni di euro provento della vendita all’asta di quasi 50 chili d’oro sequestrati, sempre dalla Guardia di finanza, a due presunti corrieri: Giuseppe Cortese e Sabrina Cortese. I lingotti si trovavano in un doppiofondo a bordo dell’auto che, anche in questo caso, transitava dal confine con la Svizzera. A differenza della vicenda dei contanti nel cruscotto, però, il giudice non ha accolto il ricorso dell’avvocato Sassi.

Il sequestro d’oro rientrava nella stessa indagine del ritrovamento del milione di euro. A dimostrazione del fatto che le fiamme gialle lavoravano su un giro di denaro e beni preziosi da e per la Svizzera legati a ipotesi di riciclaggio per far sparire fondi all’estero.

Per quanto riguarda l’oro, ha motivato il giudice, la norma prevede «la confisca obbligatoria» e non facoltativa «per il reato di contrabbando». Da qui la conferma del provvedimento emesso dal giudice, nel decreto di archiviazione dell’inchiesta.

L’avvocato è pronto a ricorrere in Cassazione in quanto l’oro da investimento è equiparabile ai soldi e, quindi, il suo trasporto non sarebbe contrabbando.

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