L’ultimo abbraccio ad Alberto: «Continuerai a brillare per noi»

Crocifisso Santuario gremito per il funerale del giovane veterinario. Il fratello Matteo: «Ti stavi godendo le prime soddisfazioni della vita»

Non bastava il Santuario del Crocifisso. Chiesa ampia, non sufficiente tuttavia a contenere tutto il dolore di amici, parenti, colleghi nell’ultimo saluto ad Alberto Tamagnone, veterinario di 29 anni morto venerdì scorso dopo tre giorni di lotta in ospedale in seguito alle ferite riportate in un incidente in via Varesina, mentre era in sella ad uno scooter bianco. Non bastava il Crocifisso, tanto che la polizia locale ha dovuto organizzare un servizio all’esterno per gestire il traffico, l’afflusso e il deflusso.

Non c’era un centimetro libero, in chiesa, gremita fino all’ultima piastrella. Giovani, meno giovani, anche cani e animali. Pure loro in silenzio, a salutare quel ragazzo che tante volte li aveva aiutati nella clinica veterinaria che portava avanti con il padre in via Borsieri.

Straziante, al termine della funzione, il saluto del fratello Matteo: «Ti brillavano gli occhi Alberto. Ti stavi godendo le prime grandi soddisfazioni e noi gioivamo guardandoti. Con papà avevi un rapporto speciale, ti passava tutta la sua conoscenza. Papà e figlio, complici e appassionati. Mamma ti ha trasmesso tutta la tua sensibilità e delicatezza. Se eri così il merito è suo. Ora mamma avrà altri sei figli», con riferimento allo splendido gesto di donare gli organi (sull’altare c’era anche il labaro dell’Aido, l’associazione italiana per la donazione di organi). «Io ti ho insegnato a giocare a calcio, a fare le impennate in bicicletta – ha proseguito il fratello – Ma in tutte queste cose sei diventato più bravo di me. Ti voglio tanto bene Alberto, mi lasci una cicatrice enorme e indelebile ma tu continuerai a brillare». Parole seguite da quelle della cugina, di due amici, della fidanzata Guenda («Sei e sarai sempre una parte della mia vita») e anche quelle di Aido, che ha ringraziato «per aver dato la vita ad altre persone», sei appunto. Quasi un grido, commosso, che è stato accompagnato dall’applauso della chiesa.

La funzione era stata in precedenza celebrata da padre Enrico Corti, subito dopo la lettura di un brano del vangelo di Marco, quello del messaggio dell’angelo di fronte al sepolcro vuoto dopo la risurrezione. «Ogni funerale è tristezza, sofferenza, pianto – aveva detto il religioso – Figuriamoci quello di un ragazzo giovane. C’è un senso di ingiustizia, le domande ti assalgono, perché Signore lasci che tutto questo accada? Perché crei dolore alla famiglia, alla sua ragazza? Dentro di noi cala una pietra, come quella del sepolcro. Un peso enorme. Lo è per noi, figuriamoci per i parenti di Alberto. Chi sposterà questa pietra? Noi umani abbiamo bisogno di essere rassicurati. E allora io lo immagino seduto davanti al sepolcro, a dire “ non abbiate paura”. Alberto ci sta dicendo che ci si troverà un giorno tutti insieme, ancora riuniti».

Poi la chiusura: «Non ci sono parole umane da dire in questa situazione – ha concluso padre Enrico – Ci sono solo parole divine. Alberto era sempre disponibile in ogni momento. Che bello conoscere persone così. La disponibilità è un’attitudine umana ma anche divina. Ed era anche genuino Alberto, l’opposto dell’ipocrisia. In questo momento sta asciugando tutte le vostre lacrime. È vero, se n’è andato troppo presto. Ma sta gridando a noi, a tutti noi, che ne è valsa la pena».

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