Ragazzi poco preparati alla maturità?
I presidi: «Ovvio dopo due anni così...»

I risultati del test Invalsi certificano i passi indietro soprattutto alle superiori - D’Antonio: «Come dire che in guerra ci sono le bombe». Iaia: «Danni della didattica a distanza»

Como

Il test Invalsi per i maturandi è andato male, le competenze dimostrate dopo due anni di lezioni a singhiozzo sono molto peggiorate rispetto al 2019.

In Lombardia il tonfo è stato minore rispetto alla media nazionale, ma la preparazione in italiano è calatiadi 7,6 punti e in matematica di 5,6 mentre resiste sugli stessi livelli l’inglese. Questo è quanto fotografa il test ministeriale, un mezzo disastro. Le nostre scuole superiori però all’esame di Stato hanno concesso voti assai più generosi del solito, 439 maturandi sopra al 90 e 326 tra cento e cento con lode a Como.

«Lo stesso ministero alla vigilia della maturità ci ha concesso di bocciare, ma chiedendo di tenere conto della difficile situazione legata alla pandemia – spiega Nicola D’Antonio, preside del Giovio – è chiaro che con un esame semplificato e un monte crediti più alto i voti sono stati più generosi. Ma la preparazione generale dei ragazzi si intuiva che non era all’altezza. Per forza, sono stati due anni molto complicati. Ciò nonostante si è scelto comunque di fare il test Invalsi che ha certificato una generale regressione. Come a dire che dopo una guerra sono cadute le bombe». I voti di maturità a Como sono stati più alti, ma comunque i più bassi di tutta la Lombardia. «La didattica a distanza ha prodotto danni – dice Vincenzo Iaia, preside del Teresa Ciceri – ha sottratto ai diplomandi anche attenzione e concentrazione. La gestione delle prove Invalsi resta oggettiva, mentre la maturità partiva da condizioni molto vantaggiose, è evidente che i voti sono stati più generosi che in passato».

Delle due l’una. Gli studenti con la pandemia hanno appreso meno, eppure hanno preso voti più brillanti. Secondo molti dirigenti scolastici il periodo di pandemia impedisce confronti, si poteva evitare vista l’eccezionalità la prova ministerale. «Sono dati che confermano l’atteso e la nostra percezione – ragiona Roberto Peverelli, preside del Setificio – dopo due anni così difficili è plausibile che gli apprendimenti peggiorino, ma le abilità andrebbero valutate nel contesto generato della pandemia. Detto che l’Invalsi misura solo alcune competenze. Altre, peraltro già carenti, potrebbero non essere state toccate». O essere peggiorate ancor di più. «Attendiamo i risultati scuola per scuola – dice Erminia Colombo, preside del Fermi – per avere un quadro più puntuale. Ricordo però che gli esami non si sono svolti come nel 2019. Le tre prove Invalsi sono state concentrate in un solo lunghissimo giorno in presenza subito dopo l’ultima ondata». Spesso senza allenamenti e simulazioni. La maturità invece è consistita in un solo orale, con i commissari interni e i crediti formativi alti.

«La didattica a distanza non ha tolto solo competenze – commenta Gaetana Filosa, preside della DaVinci-Ripamonti – ma relazioni, possibilità di motivare e dialogare con gli studenti, dare stimoli e farli sentire parte di una comunità». Senza tutto ciò il timore è che crescano ancor di più gli abbandoni scolastici. Inoltre molti dirigenti sottolineano che hanno fatto molta più fatica gli studenti delle famiglie in condizioni socio economiche più svantaggiate. La “dad” accentua le differenze.

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