Rapinò la sala slot di via Paoli. La Cassazione: è colpevole

La condanna Respinto il ricorso di un comasco a processo per l’assalto. Lui: non sono stato io

Fino all’ultimo ha tentato di sostenere la propria innocenza. Si è rivolto anche alla Cassazione per contestare il riconoscimento vocale fatto dalla vittima della rapina, riconoscimento fatto - secondo la difesa - senza alcun termine di paragone. Ma alla fine anche la Cassazione gli ha dato torto e ha confermato: colpevole pure lui.

Si è chiuso con una condanna definitiva a cinque anni e 8 mesi di carcere il processo a carico di Massimo Broccoletti, comasco di 54 anni finito nei guai per una rapina messa a segno addirittura dieci anni fa ai danni della sala slot Piper Slot di via Paoli. Una rapina talmente datata che, oggi, quella sala slot non c’è neanche più.

Comunque. Era il 3 febbraio 2014. Una sera. All’interno della sala slot l’addetto alla sicurezza del locale. I rapinatori avevano finto di dover consegnare una pizza, quindi una volta entrati nella sala slot ormai chiusa hanno messo a segno il colpo.

Un commando che ha agito a volto coperto senza sapere, però, che i carabinieri stavano già indagando su alcuni di loro. Tra questi anche Massimo Broccoletti. E infatti, come si evince anche dalla sentenza della Cassazione, gli investigatori che avevano iniziato a interessarsi a una serie di furti e rapine commesse tra la zona del Monzese e il Comasco, avrebbero seguito la rapina “in diretta” con il comasco coinvolto nel processo che avrebbe indicato «la necessità di suonare il campanello per entrare». E la scusa adottata, è stata proprio quella di fingere la consegna della pizza.

Il processo era finito complessivamente con sei condanne tra i cinque anni e mezzo e i sette anni e mezzo. A parte Massimo Broccoletti ed Emanuele Salto, canturino, tutti gli altri componenti della banda erano rumeni: Dobrin Carp, Bogdan Vasile Voicu, Florin Bot, e Victor Sandu Cioc.

Il difensore di Broccoletti aveva anche contestato l’aggravante dell’uso dell’arma, sostenendo che non vi fosse comunque prova che, anche qualora lui avesse partecipato al colpo, fosse armato. Replica la Cassazione che «è pacifico che, in tema di concorso di persone nel reato, il criterio generale di imputazione delle circostanze aggravanti» come l’uso dell’arma, «si estende ai concorrenti per i quali sia configurabile il coefficiente soggettivo».

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