Ticosa, dall’acquario allo spazio: quarantadue anni di flop

La storia Fallimento di 12 giunte e nove sindaci dal 1982. Spallino acquista l’area, demolizione nel 2007 e nulla più

Quarantadue anni, dodici giunte, nove sindaci e un commissario. Sono queste le proporzioni del fallimento chiamato Ticosa. E quegli oltre 40mila metri quadrati tra viale Innocenzo e via Grandi sono ora la sfida per la tredicesima giunta e il nono sindaco.

Quarantadue anni costellati di idee e progetti fantasma. Alcuni durati lo spazio di qualche pagina sul giornale, altri invece hanno calamitato l’interesse della città per mesi o anni. Dall’avveniristico acquario di acqua dolce al maxi parco giochi, dal piano con residenze e negozi all’incubatore di imprese, dal parco urbano al solo enorme parcheggio e ancora dalle residenze in housing sociale con spazio alle imprese fino al grande comparto turistico-culturale. Puntualmente, però, finora si è sempre tornati alla casella di partenza. Il 1982.

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Odissea lunghissima

L’odissea Ticosa ha inizio il 3 ottobre 1980, con la chiusura della vecchia tintostamperia, simbolo dell’operosità comasca. Poco dopo una porzione a nord viene ceduta ai privati e, per la parte a sud, si inizia a è parlare di abbattimento della fabbrica e della costruzione di sette nuovi edifici interconnessi da parcheggi e verde, la vecchia centrale da destinare al teleriscaldamento e si discute perfino di interventi su via Grandi, oltre alla modifica dell’incrocio con via Sant’Abbondio per garantire la visuale sulla basilica.

Nel 1982 il sindaco Antonio Spallino decide - anche per evitare speculazioni - di acquistare i 42mila metri quadrati. Costo: 7 miliardi di lire finanziati con mutuo decennale coperto dallo Stato. A quel punto si pensa di «portare lì i servizi pubblici, dal Comune al Genio civile, il tutto con qualche residenza». Poi la caduta della giunta, ricostituita sempre con Spallino sindaco e, nel 1985, tocca a Sergio Simone fino al 1988. In quegli anni c’è chi propone di creare in Ticosa uno spazio per i giovani e tramonta l’ipotesi di trasferire in via Grandi l’Agenzia a delle Entrate.

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Il fascicolo Ticosa passa da sindaco a sindaco come una scomoda eredità. Angelo Meda, in carica dal 1988 al 1990, prevede l’abbattimento di alcuni fabbricati verso via Sant’Abbondio e vengono realizzati parecchi posti auto. Nei due anni successivi è il turno di Felice Bernasconi e si parla anche della possibilità di cedere la vecchia tintostamperia per avere in cambio Palazzo Terragni. E ancora Renzo Pigni, alla guida della città per solo un anno, dal 1992 al 1993, quando si dimette e gli subentra il commissario Levante. C’è, in quel periodo, chi propone di trasferire in Ticosa il mercato e chi di creare una cittadella artigiana. Ma niente di concreto. Mille ipotesi, zero soluzioni.

Nel 1994 a Palazzo Cernezzi arriva Alberto Botta, il primo sindaco eletto direttamente dai cittadini ma, in otto anni, nessun passo avanti. Botta nei due mandati ristruttura gli shed che diventano aree espositive, dà consulenze ad esperti e fa un concorso di progettazione. Nel 1995 si parla anche di costruire un tunnel lungo 300 metri da San Rocco a viale Roosevelt e della pedonalizzazione di via Grandi. Il corpo a C viene messo in vendita nel 1998, subito dopo la rielezione di Botta, ma l’asta va deserta. Villa Saporiti, con l’assessore leghista Pietro Cinquesanti propone un polo per le scuole superiori, ma il suggerimento resta inascoltato. Il 1999 è l’anno dei “tre saggi” che analizzano due strade: ristrutturazione o trasformare tutta l’area con i privati. Ma, comunque, non si va avanti se non per la creazione di altri 500 posti auto e l’assessore regionale Giorgio Pozzi lancia l’idea del polo tecnologico (parla anche della Ticosa come possibile sede della futura agenzia spaziale Galileo). La fondazione Ratti presenta un progetto di recupero con la creazione di un centro culturale. Sembra si sia a un passo da chiudere, ma la maledizione prosegue. Di nuovo nulla di fatto.

Gli ultimi vent’anni

Dal 2002 al 2012 il decennio di Stefano Bruni, il sindaco che arriva più vicino alla soluzione del nodo Ticosa. Nel 2003 aggiunge altri 130 parcheggi (si arriva così a 640 auto totali) e l’anno successivo ottiene l’ok per vendere all’asta l’area ai privati. Il bando viene aggiudicato a Multi che promette di realizzare un nuovo quartiere, ma dopo aver demolito la vecchia fabbrica, iniziano altri problemi. Prima la bonifica dell’amianto, poi la crisi economica, arenano il progetto. Dal 2012 al 2017 tocca a Mario Lucini guidare il Comune: porta avanti la bonifica e cerca di riallacciare i rapporti con il privato per un piano alternativo, ma non si trova l’accordo.

Dal 2017 nuovo cambio a Palazzo Cernezzi: il sindaco Mario Landriscina chiude tutti i contenziosi e si riprende l’area. Nel gennaio del 2019 Officina Como propone di creare residenze attraverso il sistema dell’housing sociale per i giovani oltre a un polo della creatività, ma l’idea viene bocciata dall’amministrazione che, a sua volta, rilancia con un piano per creare nuova viabilità, parcheggi e per trasferire gli uffici comunali in blocco. Il Covid blocca tutto e la gara per l’ultima tranche di bonifica va deserta.

E ora è il turno di Alessandro Rapinese, sindaco numero dieci.

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