Emma Dante: «In aiuto
al mio film “Misericordia”»

Cinema La drammaturga e regista lunedì in video collegamento allo Spazio Gloria per presentare la storia di tre prostitute e il loro senso di maternità

Emma Dante è una regista e voce, poliedrica e vorace, appassionata e curiosa, una vera teatrante. Non la si scopre oggi. Per lei parlano i tanti progetti messi in scena, sta preparando cose nuove per il teatro tra Berlino e Parigi, e poi lo sconfinamento nel cinema, prima con “Via Castellana Bandiera”, “Le sorelle Macaluso”, e ora grazie a “Misericordia”, tratta da una sua pièce teatrale, portata in scena anche al Teatro Sociale di Como, e che ripresenterà in collegamento lunedì sera, presso lo Spazio Gloria, in un adattamento da grande schermo imperdibile.

La storia di tre prostitute e della loro maternità e cura nei confronti di un ragazzo “nato difettoso”, Arturo, fa da sfondo ad una Sicilia d’altri tempi, in un piccolo borgo marinaro, tra miseria e violenza, tra amore e speranza, tra sopravvivenza e invisibilità.

Emma Dante, quanto significa questo lavoro per lei?

“Misericordia” è un organo vitale, sia a teatro che al cinema, è come un cuore che batte, un polmone che respira, è stato come passare un trapianto da un linguaggio all’altro. Ma è anche un corpo che ha bisogno di cura, di essere continuamente animato, monitorato, la trovo una pellicola riuscita, per quello che intendo io, che non vuol dire attrarre la massa, è un’opera che ha la sua necessità di vivere, con tutte le sue imperfezioni e contraddizioni.

Lo scorso dicembre ha pubblicato un post su Facebook in cui rivendicava il fatto che il film, però, non avesse avuto la possibilità di vivere a lungo nelle sale. Cos’è cambiato da allora?

Un film si nutre di sguardi diversi, perché quando si fa un’opera non è più solo tua, è di chi ci mette le mani sopra, diventa un capolavoro se gli occhi della gente lo possono trasformare in qualcosa di importante. Se non accade c’è il rischio di un rigetto. Credo che “Misericordia” sia stato un po’ bandito, cancellato, non gli è stata data la possibilità di vivere, di respirare come avrebbe voluto, mi è dispiaciuto molto, ne prendo atto. Da lì mi sono battuta molto, ogni giorno, per due mesi, segnalando tramite i social le sale che lo programmavano, o nelle rassegne, ho sentito risposte al mio appello, un po’ è servito, ricevendo tantissimi inviti a presentarlo e a dialogare, come da voi, è un modo per incontrare la gente. Il pubblico è tutto, diventa famiglia.

Come la fa sentire a livello personale?

Mi piace, ma mi sono dovuta costruire il mio rapporto con gli esercenti. Viviamo in un mondo in cui c’è questo bombardamento continuo, questa “cannibalizzazione” dei prodotti, nel quale si viene mangiati da altri e non c’è tempo. C’ho messo tre anni a realizzare il film, per la scrittura, nella ricerca dei luoghi, il casting, la post produzione, le riprese: c’è dietro un popolo che lavora e che mette a disposizione energia, sapienza, ma oggi se non fai i numeri ti danno un calcio e via. Non è solo il mio caso, io mi sono ribellata.

La cosa interessante del suo cinema è anche il fatto di trasmettere una grande fisicità.

Il primo spettatore ideale sono io: se provo qualcosa, un sussulto, spero subito che qualcuno possa sentire delle piccole reazioni. Credo nell’azione, nel gesto artistico, se fatto fino in fondo, nella sincerità, seppur sia un rischio.

È per provare un emozione istintiva, riflessiva, cerebrale, ha a che fare con la rivoluzione, e quando succede è straordinario: a volte lo faccio pensando che il pubblico alla fine si possa alzare in piedi.

Quanto la affascina invece esplorare le donne?

Nell’universo femminile c’è tanto da scoprire, perché tanto è stato nascosto, sottomesso, mortificato, perché le donne non uscivano allo scoperto, avevano dei ruoli legati alla casa, o alla solidarietà nei confronti del mondo maschile, non erano mai autrici dei loro sogni, ma di altrui. Il luogo del sogno ha svariate porte, e io le voglio aprire finché sarò viva.

Una battuta finale su Matteo Garrone, visto che è uno dei suoi registi preferiti, e sulla nomination ricevuta.

Se Io capitano vincesse l’Oscar non mi sorprenderebbe: è un film meraviglioso e Matteo un autore straordinario.

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