Viaggi nell’Età del Lumi
Valsassina al femminile

Cultura All’Università dell’Insubria un convegno che riporta alla luce uno scritto di Carlo Amoretti del 1785 e molte altre storie, tra naturalismo e politica

Una curiosità vivacissima spira tra le pagine dei resoconti di viaggio del Settecento, che consegna suggestioni antropologiche ben al di là delle intenzioni degli autori, generalmente appartenenti alle élite sociale e intellettuali. Ad esempio, nel “Voyage en Valsasina” dell’italianissimo sacerdote Carlo Amoretti (1741-1816), pubblicato nel 1785, si tratteggia un profilo accattivante delle donne di Valsassina: belle, sì, ma soprattutto di gran carattere, lavoratrici instancabili e dotate di spirito imprenditoriale. “Qui tutto coltivan le donne”, scriveva Amoretti, canonico e naturalista, impegnato in un tour tra le miniere dell’Alta Valvarrone, aggiungendo che la loro “bellezza sfioriva” presto a causa delle fatiche quotidiane. Se ne è parlato oggi, all’Università dell’Insubria di Como, nella sede di via Bossi, durante il convegno intitolato: “I lumi in viaggio. Itinerari nell’odeporica settecentesca”, aperto proprio dall’esperienza di Carlo Amoretti, nella relazione di Pietro Dettamanti del Centro Universitario di ricerche sul viaggio in Italia. Ma perché il testo del “Voyage” è così interessante per gli storici? “Ci dà una descrizione dell’ambiente molto vivida, sempre con dettagli sui costumi di vita, sugli elementi pittoreschi - ha spiegato il professor Dettamanti, curatore nel 2018 di una pregevole edizione del “Viaggio in Valsassina” edito dall’Associazione “Amici della Torre” di Primaluna - A questo aggiungiamo che nei resoconti dei viaggi del Settecento non sono frequenti quelli relativi ad ambienti montani”. Inoltre “vediamo che il viaggio dettato da ragioni scientifiche evolve verso il viaggio romantico, favorendo il nascere di nuove sensibilità che si sarebbero sviluppate negli anni successivi. Opere come il Belpaese dell’abate Stoppani sono state preparate da lavori quali il Voyage di Amoretti”. Moderato dal professor Gianmarco Gaspari, nella prima sessione e poi dal professor Paolo Bernardini in quella pomeridiana, il convegno ha condotto i partecipanti in un Grand Tour delle storie, portando alla luce nomi di viaggiatori più o meno noti, tutti con un incredibile bagaglio di scoperte.

Pur non essendo più esposto ai disagi dei pellegrini del Medio Evo, come è stato ricordato, il viaggiatore del Lumi rischiava la vita. Per altro, i rischi del Grand Tour erano tali che “gli inglesi, prima di partire, erano costretti a fare testamento”

La professoressa Elisa Bianco, nel tratteggiare “Il viaggio in Italia di Jacob Jonas Bjornstahl (1771-1772)” ha fatto luce sui viaggiatori svedesi, un catalogo di celebrities da Santa Brigida (XIV sec) alla regina Cristina, che abdicò a fine Seicento per dedicarsi a promuovere le arti nel buen retiro di Roma. Bianco ha fatto scoprire la figura del naturalista, allievo di Linneo (il botanico padre della “sistematica”), che visitò in lungo e in largo il nostro Paese per quasi 3 anni, mantenendo una fitta corrispondenza con il bibliotecario di corte. Al di là delle sue ricerche, interessa l’atteggiamento verso il viaggio come esperienza di vita, che per Bjornstahl doveva avere un carattere “slow”, per portare il viaggiatore a “digerire”, più che ad assaporare, le molteplici scoperte lungo il cammino. Pur non essendo più esposto ai disagi dei pellegrini del Medio Evo, come è stato ricordato, il viaggiatore del Lumi rischiava la vita: Jacob Jonas muore a Salonicco all’età di 48 anni, a causa della dissenteria, ma altri naturalisti (e tra loro alcuni allievi di Linneo) avevano vita più breve. Per altro, i rischi del Grand Tour erano tali che “gli inglesi, prima di partire, erano costretti a fare testamento”.

Tra i naturalisti svedesi, merita un capitolo a parte Pehr Kalm, la cui vicenda è stata narrata dal professor Paolo Bernardini, al quale si deve anche la puntuale ricostruzione delle condizioni che favorivano questo tipo di viaggi: “Erano il frutto di una joint venture”, ha detto. Le varie Accademie finanziavano gli scienziati, “destinati alla tragedia” a causa dei rischi, ma pure ad “opere grandiose”, perché gli editori si litigavano i resoconti di viaggio di quegli ardimentosi giovani. Kalm fece un viaggio in America (1747-1751) toccando Philadelphia, New York, Saratoga, Rakoon, il Quebec e il Canada. Ci parla degli ebrei, delle loro communities, spesso raccontate con cipiglio e una certa prevenzione, ma anche degli Inuit, gli eschimesi d’America, che compara con quelli asiatici, dei nativi americani... Narrazioni interessanti perché precedenti agli stereotipi dei “pellerossa”. Per il suo sguardo attento anche alla possibile “colonizzazione” ad opera della Svezia di quelle immense terre (gli svedesi avevano combattuto con i francesi nella guerra dei Sette anni, perdendo 24 mila uomini), Kalm viene anche scambiato per una spia. Fonte importante delle sue ricerche sono anche le tesi di laurea di allievi: ben 7 ne risultano allo scrupoloso sondaggio di Bernardini. “La dissertazione - ha detto il docente - era scritta dal maestro, mentre l’allievo era il “respondens”, vale a dire una sorta di commentatore. Tante suggestioni, dunque, dai contributi a un convegno che confluirà in una pubblicazione, al quale hanno preso parte anche Erica Baricci dell’Insubria (Peripezie marocchine di un illuminista ebreo a fine Settecento: il mantovano Shemuel Romanelli), Enrico Ricceri, Università di Torino (La «smania dell’andare»: i viaggi di Vittorio Alfieri), Andrea Sisti, Università di Genova (Giuseppe Maria Galanti e l’edizione napoletana dei viaggi di Cook), Michele Grondona, Università di Genova (I viaggi in Inghilterra e America di Filippo Mazzei) e Davide Arecco (Giovanni Fabbroni in Inghilterra: la Royal Society, il sistema Norfolk e le tecniche agricole).

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