La baraccopoli di Como? Non esiste più. Ma i senzatetto sono rimasti

Dopo lo sgombero Trentamila metri quadri tra San Giovanni e via Regina. Fino al 2020 vi alloggiavano decine di famiglie, in situazione di degrado

Un cumulo di sassi. In attesa di diventare un albergo, un punto ristoro e un maxi parcheggio , è quello che ora resta della zona dell’ex scalo merci. È necessario un grande sforzo d’immaginazione per ricordare che, fra le sterpaglie e i cocci di vetro, sorgeva un’area mastodontica, quasi 34mila metri quadrati incastrati fra la stazione di San Giovanni e via Regina Teodolinda. Rimasta struttura inutile al tramonto delle industrie circostanti, è stata per anni una piccola città notturna ai margini di Como.

In fondo all’area, in casupole assemblate con compensato e materiale di fortuna, vivevano le famiglie di origine rumena. Sull’esterno, invece, in alloggi costruiti in maniera artigianale, avevano trovato rifugio le persone provenienti dall’Asia, per esempio Afghanistan e Pakistan. Si trattava di un’umanità spinta ai margini della società, nonostante la voglia e le buone intenzioni.

L’intervento del 2020

L’area dismessa venne sgomberata a inizio dicembre del 2020, in concomitanza con l’arrivo della prima neve. L’operazione fu accompagnata da qualche polemica ma si svolse senza tensioni, grazie anche alla presenza dei volontari impegnati nel mondo della grave marginalità.

«Quel rifugio non può essere certo rimpianto – aveva detto l’abbondino d’oro Luigino Nessi – era nota a tutti la gravità della situazione ambientale e sanitaria, ma non può essere ignorata la necessità di trovare risposte non episodiche, non emergenziali ai diritti umani fondamentali e alle esigenze di sopravvivenza».

Le persone furono accompagnate in questura e, non senza difficoltà (i Covid hotel si rifiutarono di accoglierle perché non italiane) trovarono riparo negli spazi di via Cadorna.

Ma, a distanza di quasi tre anni, che fine hanno fatto quelle persone? Difficile dirlo. La sensazione, stando agli addetti ai lavori, è che alcuni, dopo vari andirivieni, siano andati fuori Como, alla ricerca di fortuna. Altri, hanno trovato riparo in zone diverse della città. «Come gruppo, durante il Covid abbiamo vissuto molto l’ex scalo merci – spiega Valeria Cairoli di Legami – al di là delle differenze, si era creata una dimensione comunitaria. Abbiamo incrociato, successivamente, una persona che viveva lì: ora è a Saronno e ha trovato lavoro».

I numeri di oggi

In generale, a Como, sono una cinquantina circa le persone senza un posto dove dormire. I numeri, stabili, sono sempre alti. Basti guardare le cifre di Porta Aperta: i dati del secondo trimestre del 2023 parlano di 433 persone incrociate (92 italiani e 341 stranieri) e 1273 colloqui totali. «La sensazione – spiega Anna Merlo,operatrice di Porta Aperta – è che siano aumentate le pastoie e le complessità burocratiche. Per fortuna, siamo una bella squadra e possiamo contare su parecchi volontari. I servizi sono sempre ben frequentati, compresi il centro diurno e la mensa, da sempre punti di riferimento». Con la chiusura di emergenza freddo, I luoghi in cui le persone si rifugiano sono principalmente i portici del Crocifisso e piazza San Rocco, con il punto interrogativo del campeggio di Breccia. «Sappiamo che qualcuno non vuole entrare nei dormitori – conclude Marta Pezzati, presidente di Como Accoglie – ma si tratta di una minoranza. La maggior parte sarebbe ben felice d’avere un tetto sopra la testa e uno spazio dove lavarsi e riposarsi. In città ci sarebbe la necessità di avere una struttura o un centro a bassa soglia». Il consiglio comunale, nel 2019, approvò una mozione che impegnava la giunta a individuare un dormitorio. Ma, nonostante il voto, non se n’è poi fatto nulla.

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