Ticino, fallimenti in crescita: «Ma il tessuto resta solido»

L’analisi Alex Farinelli, vicedirettore della Società Svizzera Impresari Costruttori commenta i numeri post pandemia: «Alla base del fenomeno l’energia cara, l’impennata dell’inflazione e la grande difficoltà a reperire i materiali»

Fallimenti in aumento in Ticino nel 2022, anno in cui la pandemia ha lasciato spazio e posto a nuove preoccupazioni, dall’onda lunga (anche in campo economico) del conflitto ucraino ai rincari energetici ed alla prolungata siccità. Il Ticino peraltro è stato uno dei tre Cantoni che hanno registrato gli incrementi maggiori. Per una fotografia, anche su base cantonale, di questo scenario in continuo divenire, ci siamo rivolti ad Alex Farinelli, consigliere nazionale del Plr (Partito Liberale Radicale) nonché vice-direttore della Società Svizzera Impresari Costruttori sezione Ticino, ricordando il peso specifico rilevante che l’edilizia riveste anche nelle dinamiche transfrontaliere.

C’è da preoccuparsi per questo segno “più” marcato dei fallimenti?

A livello generale non c’è alla base di questo aumento un abuso del “diritto di fallimento”. In Ticino c’è stato un aumento dei casi, ma va anche detto che il nostro è un Cantone dove nascono tante imprese. Dunque il dato su base cantonale va letto oltre il valore numerico, comunque da tenere nella debita considerazione. Questa situazione va anche inquadrata dentro il momento storico che stiamo vivendo, segnato da un aumento importante dei prezzi dell’energia nonché da un’impennata dell’inflazione, senza dimenticare le difficoltà nell’approvvigionamento dei materiali. E’ una situazione che va monitorata, magari approfondendo le cause che hanno portato a molti di questi fallimenti.

E riavvolgendo il nastro ai mesi durissimi segnati dalla pandemia, il riferimento va ai “Crediti Covid”, con cui le imprese hanno saputo resistere a uno tsunami economico senza eguali. Poi però c’è chi ha abusato di questi “Crediti Covid”, pensati proprio per evitare un’ondata di fallimenti su larghissima scala. Qual è la sua opinione su questo uso e in taluni casi abuso dei “Crediti Covid”?

Come in tantissime altre casistiche, fa più rumore un albero che cade, che una foresta che cresce, parafrasando un vecchio, ma quantomai attuale adagio popolare. Questo per dire che la stragrande maggioranza dei “Crediti Covid” è stata utilizzata al meglio, senza alcun tipo di abuso. Per poter aiutare l’economia in un momento davvero complesso, si è scelta la strada della rapidità nelle decisioni e negli aiuti. Strada che non poteva permettere o meglio non ha consentito controlli approfonditi. Il Governo però aveva già messo in chiaro le regole d’ingaggio.

Vale a dire?

In buona sostanza, l’esecutivo federale ha detto: “L’emergenza ci impone decisioni rapide, cercate però di non fare i furbi perché poi ci saranno i controlli”. I casi di cronaca emersi negli ultimi mesi sono la conseguenza da un lato di comportamenti da biasimare e perseguire e di un sistema che funziona e che ha isolato le “mele marce”. Questo perché la maggior parte delle persone che ha ricevuto i “Crediti Covid” non ne ha abusato, salvaguardando così imprese e posti di lavoro.

L’edilizia è uno dei settori simbolo dell’economia svizzera. Com’è la situazione legata ai fallimenti in questo comparto?

Non c’è dubbio che l’edilizia rappresenti un settore di importanza strategica per l’economia. E nella dizione edilizia inserisco anche l’artigianato. Per dare un riferimento diretto, l’edilizia in Ticino rappresenta il 15% del Pil. E la storia ha dimostrato che quando l’edilizia funziona, anche altri segmenti economici ne beneficiano. Non ci sono indicazioni al momento di un aumento dei fallimenti. Per contro però si registra un calo dei volumi connessi agli investimenti.

Quali sono le prospettive?

L’aumento dei tassi di interesse rappresenta sicuramente un’incognita con cui rapportarsi. Senza generalizzare, in questa fase alcune imprese devono pensare ad una riduzione dell’occupazione. Noi come Società Svizzera Impresari Costruttori ci stiamo relazionando con gli enti pubblici, cercando di far passare il messaggio che non è questo il momento per rallentare gli investimenti. Anzi se possibile andrebbero incentivati così da garantire gli attuali livelli occupazionali.

In che modo vengono monitorate eventuali situazioni che poi in dote portano al fallimento di un’impresa?

Già da anni collaboriamo con le autorità preposte per evitare che possano verificarsi situazioni contingenti che portino a fallimenti a catena. Il caso specifico è quello di un’impresa che fallisce per poi riaprire con un altro nome, ma non pagando i fornitori, creando così un danno all’economia. L’obiettivo è riuscire a intervenire interrompendo questa catena. Citazione d’obbligo in questa direzione per l’attività portata avanti negli anni dalla magistratura, che ha intensificato la sua lotta contro i fallimenti “abusivi”, richiamando in maniera vigorosa chi abusa del diritto di fallimento.

Su questo lato del confine (e non solo), pur trattandosi tecnicamente di un’acquisizione, il quasi (fallimento) di un colosso come Credit Suisse ha fatto parecchio rumore. Come va inquadrata questa vicenda?

La si può inquadrare sotto due aspetti. Quello sicuramente più fastidioso è legato al fatto che un management ha pensato più ai propri profitti ed ai propri bonus che al bene della banca, assumendosi una serie di rischi tali mettere in discussione l’esistenza stessa della banca. E su questo aspetto è bene interrogarsi anche rispetto a ciò che potrà accadere in futuro, evitando situazioni come quella che si è verificata nelle ultime settimane. C’è poi un secondo aspetto”.

Più o meno virtuoso di quello enunciato poc’anzi?

Decisamente più virtuoso, perché c’è stato un Paese che, di fronte ad una tempesta perfetta occorsa ad una banca (già in difficoltà, anche per il fatto che l’azionista di maggioranza ha deciso di non immettere più capitali), in soli quattro giorni ha messo in pieno un piano per evitare il fallimento. Piano che ha coinvolto la politica (ovvero dal Consiglio federale), la Banca nazionale, l’Autorità di vigilanza e la prima banca svizzera (l’Ubs). La ritengo una dimostrazione del fatto che il “sistema Svizzera” ha avuto la forza di reagire di fronte ad una situazione che avrebbe potuto causare grossi problemi nel nostro Paese, ma anche in molti altri Stati. Tant’è che al Governo svizzero sono giunti i ringraziamenti di numerosi altri Governi per aver risolto una situazione così difficile in tempi rapidi ed in modo efficace.

Dunque bocciato il management di Credit Suisse e promossa l’azione incisiva del Governo?

Proprio così. E il salvataggio di Credit Suisse rafforza la fiducia che si può avere in un sistema che dalla pandemia in avanti ha dimostrato in ogni situazione di crisi di saper reagire rapidamente e con iniziative di grande impatto. In questo contesto inserisco i “Crediti Covid” citati poc’anzi, ma anche le centrali d’emergenza pensate e realizzate durante i mesi clou della crisi energetica ed ora con la crisi “Credit Suisse”. Tre situazioni distinte in cui la Confederazione ha dimostrato una grande capacità di reazione.

Qual è oggi il settore più a rischio fallimento?

Non c’è un settore in quanto tale. Esistono per contro singole realtà imprenditoriali sotto pressione. E ritorno ai temi già trattati dall’impennata dei costi delle materie prime, ai rincari energetici ai tassi d’interesse. Elementi di criticità con cui convivere.

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