Stesso documento per posti diversi
Così la domanda è poco credibile

Chiara Mastinu è la responsabile del servizio di Confindustria Como

«Ricevere lo stesso CV per sei-sette “Lavora con noi” di natura diversa, pone dubbi sulla serietà della persona non solo ai selezionatori, ma anche all’azienda».

A indicare la prima cosa da evitare è Chiara Mastinu responsabile Unimpiego Confindustria, sede di Como, che ricopre anche la carica di docente negli istituti superiori, dove spiega ai ragazzi delle classi quinte come proporsi nel mondo del lavoro.

Unimpiego lavora al 95% per le aziende associate, in questo momento sono attive 35 selezioni da parte delle aziende.

Il numero dei curricula ricevuti dipende dal periodo dell’anno, in luglio meno di un centinaio, a settembre o gennaio anche 100 al giorno dopo la pandemia.

Per un annuncio di ricerca per un geometra pre pandemia erano arrivati in un mese: 1.200 CV da LinkedIn, 500 dall’inserzione sui giornali, 300 da altri canali.

«I curricula vengono redatti in maniera diversa rispetto a 25 anni fa, allora si usava un CV molto sobrio, basato più che altro sulle esperienze professionali e dove venivano evidenziate soprattutto le hard skill. Un documento piuttosto asettico ben rappresentato dal classico CV europeo che era molto diffuso e che adesso è stato soppiantato da versioni più creative. Attualmente ciò che si vuole conoscere leggendo fra le righe di un curriculum, è il tipo di persona prima ancora che l’esperienza, sono le soft skill a essere più valorizzate».

Il colpo d’occhio è importante, il CV deve attirare l’attenzione: «Online sono disponibili diverse opzioni con grafiche evolute, torte, infografiche, in cui troviamo quasi sempre la divisione in due aree: la parte sinistra è dedicata all’anagrafica, alle competenze e alle proprie aspirazioni; sulla destra le esperienze professionali partendo dalla più recente; a seguire l’istruzione e altre informazioni, senza dimenticare l’inserimento della foto. Una struttura meno schematica rispetto a prima e che valorizza le caratteristiche personali dei candidati».

Dall’assunzione per conoscenza a una modalità di selezione molto più professionale, anche per la ricerca di profili medio bassi.

«L’azienda non prende in considerazione solo quello che una persona sa fare, ma quale atteggiamento ha nello svolgere una mansione, le soft skill rappresentano un valore sostanziale. Se assumi una persona che ha delle competenze, ma dal punto di vista umano è inaffidabile o non ha un buon atteggiamento con i colleghi, non hai risolto il problema di trovare validi collaboratori. Più oggi che in passato, e dispiace dirlo, succede spesso che le persone non siano “appetibili” dal punto di vista personale».

Saltare da un lavoro all’altro è uno svantaggio? «Se si tratta di casi sfortunati, di aziende che chiudono e quindi si è costretti a cambiare lavoro, va segnalato nel CV, se invece è una scelta personale guidata dalla continua insoddisfazione o dalla troppa ambizione in un periodo breve, può essere pregiudizievole. Non predispone al meglio le aziende che si pongono dubbi sull’affidabilità e la probabilità di fidelizzazione della figura. Consiglio sempre ai giovani, tolta la parte iniziale dedicata ai tirocini, di rimanere almeno 6-7 anni in un’azienda: è il tempo che serve per imparare i “trucchi del mestiere” e dare il proprio valore aggiunto».

La tecnica dell’invio di CV a pioggia è una buona idea? «Io li chiamo “cliccatori seriali”, l’online sembrava uno strumento veloce per le ricerche di personale, invece si è rivelato più lento proprio perché tantissimi candidati con competenze e caratteristiche personali non adeguate, rispondono agli alert delle piattaforme senza nemmeno leggere fino in fondo il testo dell’annuncio».

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