In ospedale per la scheggia nel dito a Menaggio: «Ma la sala operatoria era chiusa»

Il caso La denuncia di un cittadino che è stato poi curato al nosocomio di Gravedona. E il Comitato: «Sempre più preoccupati, non si riesce a curare una ferita così semplice»

Un menaggino si reca al pronto soccorso dell’ospedale del paese perché, nell’effettuare lavori di casa, si è trovato una scheggia di legno conficcata in una mano.

Si sente però rispondere che non è possibile programmare l’intervento di rimozione del corpo estraneo, perché temporaneamente la sala operatoria è indisponibile. Risultato: si deve recare in altra struttura, nel caso specifico l’ospedale di Gravedona, dove dopo un’attesa di quattro ore viene trattato con asportazione della scheggia.

La ricostruzione

«Tengo a precisare – puntualizza l’interessato nel racconto della vicenda che riporta sulla propria pagina facebook il Comitato per la difesa dell’ospedale di Menaggio – che i medici e gli infermieri presenti sono stati gentilissimi e del tutto disponibili. Tuttavia, non certo per loro volontà, mi hanno dovuto inviare in altro pronto soccorso, come dice chiaramente il referto: «Non è stato possibile programmare l’intervento di ispezione della ferita per rimuovere il residuo del corpo estraneo vista l’attuale temporanea indisponibilità della sala operatoria». A Gravedona – aggiunge il paziente – ho dovuto attendere dalle 14 alle 18, ma mi ritengo fortunato, perché c’era gente in attesa fin dalle 9 del mattino».

Dopo i casi di persone anziane che necessitavano di interventi chirurgici per ridurre fratture e sono stati costretti a rivolgersi altrove e ad attendere mesi, la scheggia non risolta provoca ulteriori reazioni da parte del Comitato. E fioccano le domande sul tema.

«Come mai la sala operatoria non è “temporaneamente” disponibile? – esordisce la portavoce, Giovanna Greco – . Cosa mancherà stavolta? Medici, infermieri o altro? Perché invece di predisporre “Piani di sviluppo”, peraltro vuoti di contenuto per l’ospedale, non ci si organizza per rispettare almeno i requisiti minimi obbligati dal tanto citato Decreto ministeriale 70/2015? Forse perché a pagarne le conseguenze, tanto, siamo sempre noi, poveri cittadini?».

E i commenti che seguono, ancora una volta, prendono di mira i politici, perché in fin dei conti, il rilancio del presidio non può prescindere da una volontà politica. L’”Erba - Renaldi” è da tempo nel mirino della critica per la sua preoccupante involuzione: reparti chiusi, posti letto dimezzati e pronto soccorso mantenuto in vita grazie a medici a gettone.

Protesta

«C’è da chiedersi a che scopo questo sforzo di reperire costosissimi medici a gettone se nemmeno si provvede ad estrarre una piccola scheggia di legno dalla mano di un paziente – sottolinea ancora Giovanna Greco – . Siamo sempre più preoccupati per le sorti del nostro ospedale, che nonostante le rassicurazioni fornite dai politici e dai vertici di Asst Lariana, langue». E il dibattito sulla sanità pubblica prosegue.

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