I pericoli del glioblastoma, un tumore quasi incurabile

L’intervista Nasce da cellule precursori presenti all’interno del sistema nervoso centrale e tende a recidivare sempre. La prima soluzione è di tipo chirurgico: altra terapia dopo radio e chemio è l’utilizzo di campi magnetici

Nei giorni scorsi ha molto colpito la notizia della scrittrice britannica Sophie Kinsella che ha deciso di parlare della sua lotta contro il glioblastoma, un tumore del sistema nervoso centrale. Si tratta di una neoplasia del cervello molto aggressiva i cui sintomi, purtroppo, si presentano quando la malattia si è già manifestata dal punto di vista clinico. Abbiamo chiesto a Lorenzo Bello, responsabile di Neurochirurgia oncologica all’Irccs ospedale Galeazzi - Sant’Ambrogio di Milano e professore ordinario di Neurochirurgia dell’università Statale, Dipartimento di Oncologia, di approfondire il tema.

Professore che cos’è il glioblastoma?

È un tumore intrinseco del sistema nervoso e cioè un tumore che nasce da cellule precursori presenti all’interno del sistema nervoso centrale. Queste cellule sono state isolate anni fa, hanno caratteristiche molecolari simili alle cellule staminali e sono principalmente localizzate intorno alle strutture profonde. Studi recenti hanno dimostrato che queste cellule danno origine a delle vere e proprie reti, che prendono contatto con le reti neurali del cervello modificandole e creando a loro volta delle reti che infiltrano l’encefalo normale. Studi pubblicati su riviste autorevoli hanno fatto vedere che queste reti cominciano già 4,5 anni prima dello sviluppo clinico.

Si tratta quindi di tumori altamente infiltranti?

Si. Il glioblastoma è il più frequente dei tumori intrinseci del sistema nervoso centrale, generalmente caratterizzato dal punto di vista molecolare dall’assenza della mutazione Idh (cosiddetto Idh wildtype o Idh wt) e per questo vengono così denominati gliomi Idh wt. Dal punto di vista biologico si caratterizzano per una estesa infiltrazione del cervello, dove formano masse anche di notevoli dimensioni. Si tratta di forme molto aggressive, caratterizzate da una velocità di crescita elevata, anche un paio di centimetri al mese.

Per quanto riguarda l’incidenza?

Stiamo parlando di un tumore raro con sei casi ogni 100mila persone. Nell’ambito dei tumori che nascono nel sistema nervoso è il più frequente. Si manifestano tipicamente in età adulta a partire dai 45/50 anni, l’ incidenza nell’anziano è in crescita, anche per il fatto che nel tempo si è alzata l’aspettativa di vita media della popolazione. Esistono poi delle forme meno tipiche dal punto di vista radiologico e molecolare che insorgono in pazienti più giovani tra i 35 e 45 anni.

Cosa sappiamo sulle cause e sui fattori di rischio?

Allo stato attuale non ci sono evidenze di fattori di rischio particolari che si associano alla comparsa di questo tipo di tumore. Esistono alcuni report di incidenza più frequente all’interno di nuclei famigliari, tuttavia, le indagini di biologia molecolare del genoma non hanno evidenziato, così come avvenuto nel caso della mammella o di altre forme di tumori, la presenza di geni che sono strettamente associati al rischio di comparsa della neoplasia. Non ci sono, inoltre, fattori ambientali che potrebbero essere associati. In passato si era parlato di un possibile coinvolgimento dei campi magnetici ma non ci sono prove che questi siano associati all’insorgenza del tumore.

Quali sono i sintomi?

I sintomi si manifestano quando la malattia è già evidente, purtroppo oggi non abbiamo ancora la possibilità di intercettare la neoplasia prima che si presenti dal punto di vista clinico. Come detto, si tratta di forme molto aggressive, che si manifestano con la comparsa di mal di testa, cambiamento dei comportamenti, rallentamento ideomotorio, confusione, sintomi neurologici focali come deficit di linguaggio, motori o visivi. La sintomatologia è legata sia alla formazione di masse che esercitano compressione sulla restante porzione del cervello, sia alla elevata infiltrazione del parenchima cerebrale, dove le cellule malate sono presenti all’interno dei network e dei circuiti funzionali, alterandone il funzionamento.

Come avviene la diagnosi?

La diagnosi è clinica e viene confermata con risonanza magnetica con contrasto che consente di vedere la parte emergente della malattia, ovvero la punta dell’iceberg, ma c’è poi un’ampia zona infiltrativa che può essere più o meno visibile. Proprio il quadro riscontrato alla risonanza magnetica è fondamentale per impostare il trattamento.

Una volta posta la diagnosi cosa prevede l’iter terapeutico?

Il primo passo è la chirurgia che ha lo scopo di rimuovere, laddove possibile, la parte visibile alla risonanza magnetica della massa neoplastica e di fare diagnosi istologica e molecolare. Un recente studio del gruppo multidisciplinare internazionale Rano Resect Group, di cui facciamo parte, ha dimostrato che maggiore è la resezione della massa visibile e maggiore è il controllo della malattia nel tempo. Sono state definite quattro classi di resezione, che vanno da una asportazione totale della parte visibile ad asportazioni subtotali o parziali. Ovviamente la chirurgia deve sempre tenere in considerazione il mantenimento dell’integrità funzionale del paziente, ecco perché l’indicazione è di applicare tutte le possibili tecniche chirurgiche funzionali finalizzate a questo scopo, oltre a quelle che consentono una corretta visualizzazione del tumore e del cervello.

E per quanto riguarda le altre terapie?

Queste terapie si basano ancora su un protocollo del 2005, nel corso degli anni sono state individuate nuove terapie ma poche realmente efficaci, quindi, ancora oggi si procede con la radioterapia e chemioterapia, seguite da un periodo di chemioterapia adiuvante. Altra terapia efficace è l’uso, dopo la radioterapia e insieme alla chemioterapia, di campi magnetici (il cosiddetto Ttf).

Si tratta di forme recidivanti?

Sono dei tumori che tendono a recidivare sempre, quello che fanno gli interventi e le terapie è di post porre il momento in cui questo accade. Una ricaduta è attesa in un intervallo variabile da 6 mesi a 2-3 anni dal primo intervento chirurgico e radio-chemioterapico. Al momento la sopravvivenza dei pazienti varia tra 6 mesi e 3-4 anni a seconda del livello di aggressività.

Sul fronte della ricerca cosa ci può dire?

Ci sono avanzamenti sul piano chirurgico grazie a nuove tecniche basate sull’immagine e sulla funzione, ci sono stati anche dei progressi sul piano delle chemioterapie, soprattutto dal punto di vista dei device che consentono l’ingresso dei farmaci all’interno del sistema nervoso.

E per quanto riguarda i farmaci?

Un campo interessante è quello dei farmaci target. Sono state trovate delle mutazioni, al momento solo nel 5- 6 % dei casi, per le quali al trattamento standard può essere associato quello con farmaci biologici e questi hanno dato ottime risposte, in alcuni casi anche in assenza di radioterapia. Si stanno studiando molto, inoltre, le reti di questo tumore con il sistema neurale e di conseguenza i farmaci biologici che riescono ad alterare la capacità di rapporto tra il tumore e il sistema nervoso normale aprono nuove prospettive. Ci sono stati studi di immunoterapia ma purtroppo, a differenza di altri tumori come quello della mammella, del polmone o il melanoma per i quali l’immunoterapia si è rivelata molto efficace, sono stati interrotti perché inefficaci. Ma la ricerca su nuovi farmaci prosegue per potenziare la risposta immunitaria anche se, va detto, si tratta di studi ancora alle fasi iniziali, ma speriamo promettenti.

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