Il rapporto tra l’Italia e il nucleare, una storia partita da lontano e finita con i referendum

Il passato Nel 1987 la decisione popolare di abbandonare questa strada. Una società di Stato di sta occupando di gestire le scorie degli impianti

Per parlare di nucleare in Italia bisogna parlare di centrali dismesse e di rifiuti nucleari. La penisola non ha infatti al momento centrali attive.

Per cercare di fare una fotografia riassuntiva della situazione italiana, va detto che in Italia erano attive quattro centrali nucleari: quella di Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta). Si tratta di impianti che sono stati dismessi e la cui gestione attuale, o meglio lo smantellamento, è in mano a una società di Stato che si chiama Sogin. Sogin è infatti la responsabile del “decommissioning degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi, compresi quelli prodotti dalle attività industriali, di ricerca e di medicina nucleare”.

Smantellamento

Questa impresa statale sta “smantellando quattro centrali nucleari – si legge nel sito di riferimento - con reattori di tre differenti tecnologie, cinque impianti legati al ciclo del combustibile e un reattore di ricerca. «Gestiamo in sicurezza – spiegano - tutti i rifiuti radioattivi».

Oltre alle quattro centrali nucleari che non funzionano più, Sogin si sta dunque occupando degli impianti legati al ciclo del combustibile nucleare: Eurex di Saluggia (VC), ITREC di Rotondella (MT), Ipu e Opec a Casaccia (RM) e FN di Bosco Marengo (AL)”.

Può essere utile un salto all’indietro nel tempo per ricordare, seppure in estrema sintesi, i passi più importanti del cammino che l’Italia ha fatto in tema di centrali nucleari. Tra il 1988 e il 1990 i governi Goria, De Mita e Andreotti VI posero termine all’esperienza nucleare italiana e chiusero le tre centrali funzionanti di Latina, Trino e Caorso. L’azienda Sogin ricorda con un interessante resoconto storico che «L’Italia, con la scelta di fermare la produzione di energia da fonte nucleare nel 1987, è stata tra i primi Paesi al mondo a confrontarsi con il decommissioning nucleare. In seguito al referendum del 1987, l’Italia ha fermato, infatti, l’esercizio delle centrali nucleari di Latina, Trino (Vercelli) e Caorso (Piacenza), che venivano messe di fatto nella condizione di “safe store” (custodia protettiva passiva), già prevista per la centrale del Garigliano, chiusa nel 1982. Stesso destino è toccato agli impianti del ciclo del combustibile di Saluggia (Vercelli), Casaccia (Roma) e Rotondella (Matera) e all’impianto di fabbricazione del combustibile nucleare di Bosco Marengo (Alessandria)».

E ancora: «Sono stati, inoltre, interrotti i lavori di costruzione delle centrali di Montalto di Castro e di Trino 2, entrambe pertanto mai entrate in funzione».

Si tratta di operazioni molto complesse e lunghe anni, durante i quali «ci si limita a mantenere in sicurezza le infrastrutture, consentendo il decadimento naturale di buona parte della radioattività presente nell’impianto e, al contempo – è sempre Sogin a spiegarlo - la definizione di un quadro finanziario certo sulla copertura dei costi associata all’individuazione di una chiara strategia di smaltimento dei rifiuti radioattivi.

Nel 1999, con l’avvio della liberalizzazione del settore elettrico, all’ipotesi dello “smantellamento differito” è subentrata quella del “decommissioning accelerato”, ovvero l’avvio immediato del decommissioning degli impianti. Inoltre, era prevista l’individuazione di un Deposito Nazionale ove collocare i rifiuti radioattivi prodotti dallo smantellamento».

Il deposito speciale

Ed è proprio a questo proposito che si è aperto il dibattito sul deposito speciale che sarebbe dovuto nascere entro quest’anno e che invece sorgerà nel 2030, anche se resta ancora da decidere dove sarà ubicato, nel rispetto di precisi parametri di sicurezza. Sogin precisa inoltre che «per realizzare il Deposito Nazionale e Parco Tecnologico è previsto un investimento complessivo di circa 900 milioni di euro. Si stima di costruire il Deposito Nazionale in 4 anni e si prevede, in base agli attuali piani, che la sua entrata in esercizio avvenga entro il 2029. Il progetto comprende anche un Parco Tecnologico, le cui attività, tra le altre cose, stimoleranno la ricerca e l’innovazione».

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