Nella morsa degli usurai erbese
«Vai dal giudice o ti ammazzo»

Imprenditore chiede 70mila euro e si ritrova a dover restituire il doppio

 «Gli facciamo fare quindici giorni d'ospedale dai...». «Eh, un po' di riposo ci vuole». «Ci vuole: sulle stampelle glieli faccio fare...».
Aveva bisogno di soldi, il piccolo imprenditore brianzolo che lo scorso anno ha avuto la malaugurata idea di bussare alle porte degli uomini indicati, dalla Dda di Milano, come esponenti del "locale" di Erba della 'ndrangheta e che si è ritrovato sommerso di minacce di ogni tipo: «Di mandarlo all'ospedale, di massacrarlo, di violentargli la moglie». Aveva bisogno di 70mila euro, lo sventurato brianzolo, e s'è ritrovato con un debito di ben 168mila euro.
Tra i vari capi d'imputazione contestati al presunto capo del "locale" di Erba Pasquale Varca, attivissimo imprenditore nel settore del movimento terra nonché collaboratore per anni della Perego Strade, all'asserito «compare» Franco Crivaro 47enne di Eupilio titolare del Coconut  e a Massimo Croci vi è anche quella di una - presunta - brutta storia di usura. Protagonista suo malgrado un piccolo imprenditore incapace a restituire il debito e, per questo, trasformato in una sorta di palla da flipper sbattacchiata tra questo e quell'interesse del trio finito nei guai con il recente blitz antimafia. Dagli atti dei Ros emergono dinamiche e retroscena inquietanti.
«La vicenda - scrive il giudice delle indagini preliminari di Milano che ha firmato l'ordinanza di cattura nell'ambito del maxi blitz - è emblematica della penetrazione mafiosa nel tessuto economico, dato che la vittima per un verso viene indotta a cedere in parte ai delinquenti la sua stessa impresa, dall'altro presa dalla disperazione la stessa è disposta a farsi coinvolgere in attività illecite dai propri aguzzini».
È il 28 luglio 2009 quando Crivaro e Croci vengono intercettati mentre il secondo dice: «Carta bianca da una parte e dall'altra se dobbiamo ammazzarlo ammazziamolo…», e il primo che risponde che ci avrebbe pensato lui prendendolo «a cazzotti».
Dieci giorni più tardi entra in scena il capo, Pasquale Varca. Ha una proposta per risolvere il problema legato al debito proponendogli di entrare in affari insieme. Un via d'uscita decisamente più remunerativa - sembra far capire Varca - piuttosto che fargli del male: «Mi innervosisco, non riesco a prendere i soldi, vengo e ti spacco la testa. Cosa ho preso io: ho perso i soldi e in più ho perso tutto. Invece magari collaborando, lavorando insieme, facendo qualcosa  riusciamo a farlo». Il giudice commenta: «La proposta è tipica del metodo mafioso. Varca tenta di avviluppare» la vittima «in una rete di rapporti illeciti, promettendogli protezione in caso di necessità. Per il mafioso - piuttosto che spennare subito la vittima - è molto più conveniente legarla a sé in un complesso di relazioni dalle quali questa non potrà mai più uscire».
Poche ore dopo di questa chiacchierata Varca ne parla con Crivaro, il quale si dice disposto «a spaccare la testa» allo sventurato imprenditore. Il quale, dal canto suo, proprio non ce la fa a rimediare al debito. A questo punto «Crivaro cerca di coinvolgerlo in attività illecite». È novembre e il titolare del Coconut viene sentito dire: «Lui siccome è disperato è disposto a fare anche le... allora, le truffe. Ma non sono truffe queste… gli escamotage, chiamiamoli così».
Neppure Natale rappresenta un'occasione di serenità per il piccolo imprenditore debitore di 168mila euro. Scrivono gli inquirenti: «va ancora notato che il metodo mafioso è icasticamente rappresentato dal senso di impunità ostentato alla vittima: il 23 dicembre 2009, veniva registrata una conversazione tra Crivaro» e il "debitore". «Crivaro, minacciandolo di morte, ordinava di recarsi da lui per firmare delle cambiali, per la durata di un anno, rappresentandogli che neanche l'intervento della magistratura avrebbe potuto salvarlo dalle gravi ripercussioni che lo aspettavano: "puoi andare fino dal magistrato che io ti ammazzo!"».

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