Salvata la speleologa
ferita nella grotta

Anche tre volontari erbesi e un medico lecchese
tra i soccorritori

 CARIADEGHE DI SERLE (BRESCIA), Più di 40
ore al buio di una grotta, poi la luce tenue dell'alba nella
fredda mattina di novembre, accoglie Anna e i suoi soccorritori.
La disavventura della speleologa bresciana si chiude tra qualche
applauso, le pacche sulle spalle dei soccorritori. Anna sta bene
e le sue prime parole sono per loro, gli alpini e gli speleologi
addestrati per questi interventi. "Sono stati i miei eroi -
dice - con loro non ho mai avuto paura".
Delle squadre di volontari facevano parte anche tre speleologi erbesi (il vicedelegato di zonaDamiano Montrasio e i tecnici Emanuele Citterio e Maurizio Zagaglia), con un medico lecchese (Mario Milani).
    Ci sono volute oltre 36 per riportare in superficie Anna
Bonini, caduta, a 250 metri di profondità, nel crepaccio
acquoso della grotta '"Omber del bus del zel" (in dialetto
grotta del buco del gelo), domenica alle 14. Un volo di 3 metri
che le ha causato una doppia frattura alla caviglia sinistra.
Impossibile per gli amici che erano con lei aiutarla. Sono
dovuti intervenire i corpi specializzati dei soccorsi che alle
18 di domenica hanno cominciato il lento cammino per uscire da
sotto terra. Anna, sedata, la caviglia steccata, un casco in
testa, è stata assicurata ad una barella. Un percorso di 3
chilometri che gli appassionati percorrono tra le 2 e le 3 ore
è diventato un complicato cammino di pochi metri all'ora. Per
allargare gli spazi in cui la barella non passava sono state
utilizzate anche delle microcariche di esplosivo. Squadre di 40
uomini, tra cui fisso un medico, si sono dati più volte il
cambio. Stanchi, sporchi di fango, riportata Anna in superficie,
hanno raccolto le loro cose sono saliti sui loro mezzi e se ne
sono andati. "Mi raccomando - ripeteva uno di loro con il
megafono - non lasciate in giro neppure una lattina". 
   I miei eroi li ha definiti la giovane bresciana,36 anni, che
ha tenuto tutti con il fiato sospeso per due giorni e due notti.
Ora è nell'ospedale di Brescia, dove dovranno sistemarle la
caviglia rotta. La sua passione per la speleologia è piuttosto
recente. Da poco aveva terminato il corso. "Forse era meglio se
aspettava ancora un pò prima di cimentarsi con queste grotte",
ha detto un tecnico del soccorso alpino. L'Altopiano di
Cariadeghe, che non supera in altezza i 700/800 metri, è
definito monumento naturale proprio anche per le sue grotte.
Chilometri e chilometri di tunnel, che scendono a centinaia di
metri di profondità e dove, come in un cantina, la temperatura
è sempre stabile, 7 o 8 gradi.
   Il giro scelto da Anna e i suoi amici non è tra i più
difficile, ma neppure adatto ai principianti. La prima parte,
una settantina di metri è una discesa a gradini, aperta a
tutti. Poi un cancello sbarra l'imbocco per le grotte vere e
proprie.
   "Lo so, ho fatto uno sciocchezza, ma è stato un incidente -
ammette Anna uscita dalla grotta - Ma non ho mai avuto paura,
soprattutto dopo che sono arrivati loro, i soccorritori, sono
stati bravissimi, organizzatissimi". Nelle 36 ore trascorse
insieme, Anna ha soprattutto dormito. "Lo facevo anche per non
creare ulteriori fastidi, me ne sono stata buona buona, mentre
loro lavoravano - racconta - Quando ero sveglia invece parlavo
un pò con tutti, abbiamo parlato di tante cose".
    Quando i giornalisti le chiedono se continuerà a coltivare
la sua passione per la speleologia prima risponde un pò
esitante. "Ma non lo so - ammette - ora sono un pò
frastornata, voglio guarire e tornare dai miei". Poi come se ci
ripensasse: "Certo, che torno nelle grotte, del resto chi cade
deve rialzarsi e continuare". "Brava, così si fa", la
incitano gli speleologi soccorritori caricandola sull'ambulanza.



Le testimonianza ddi Emanuele Citterio e di Mario Milani su La Provincia del 16 novembre


Per lo speleo club Erba: http://cai.erba.org/NUOVO/

© RIPRODUZIONE RISERVATA