Ammazzato con trenta coltellate
Ecco come uccide la ’ndrangheta

La ricostruzione dell’atroce delitto di Guanzate: la vittima lasciata morire dissanguata. Poi i killer hanno festeggiato con una grigliata e gettato il corpo nudo in una buca

Ha atteso la morte come una liberazione, Ernesto Albanese, il galoppino usato dalla ’ndrangheta per trasportare partite di cocaina. Salvo poi finire in disgrazia, al punto da dover essere fatto sparire. Ha il sapore di un quadro noir, un fermo immagine alla Tarantino, quello che gli agenti della squadra mobile della Questura di Como hanno pazientemente messo assieme, tassello dopo tassello. Arrivando a ipotizzare perfino la sceneggiatura di quella notte tra l’8 e il 9 giugno, quando lo spacciatore di Fino Mornasco - in realtà domiciliato a Bulgorello di Cadorago - è stato ammazzato.

Non la classica esecuzione mafiosa, ovvero un colpo di pistola alla testa e poi il corpo fatto sparire in una buca profonda tre metri in quel di Guanzate, ma una condanna a morte di rara crudeltà.

Sono le 23.32 dell’8 giugno quando Ernesto Albanese apre per l’ultima volta il suo profilo facebook: «Solo a Como succedono queste cose....», scrive riferendosi - senza mai citarli - a quelli che da lì a poco lo uccideranno.

Da qualche settimana ha trovato un appartamento a Bulgorello, non lontano dall’abitazione che, soltanto quattro notti prima, è stata crivellata di colpi da Francesco “Frank” Virgato, marianese di 44 anni con casa a Guanzate. Un errore: quei proiettili erano destinati infatti proprio ad Albanese. Spegne il computer ed esce di casa che manca poco a mezzanotte “l’uomo senza labbra”, com’è stato bollato da un profilo facebook riconducibile a Luciano Nocera, pregiudicato di Lurate Caccivio nella villa del quale i poliziotti hanno sequestrato una ruspa forse usata per scavare la fossa dov’è stato gettato il cadavere. Ad attenderlo uno dei killer. Lo aggredisce brutalmente e lo carica a forza in auto. Destinazione: un bosco di Guanzate.

La punizione per l’uomo che aveva minacciato di fare «i cartelli con nome è cognome come quelli dei morti fino in Calabria» e che sul web se l’era presa con i «mafiosi della domenica» che vivono «nel Comasco», dev’essere esemplare. Lontano da occhi e orecchie indiscrete e armati di tutto punto - quel che non manca, ai criminali che infestano la nostra provincia, sono proprio le pistole e i mitra e i fucili - gli assassini scelgono, per il loro duello impari, il coltello. Albanese viene trascinato fuori dall’auto e, in mezzo a una radura, colpito decine di volte. La lama, come ha confermato anche l’esame del cadavere, viene affondata ripetutamente: almeno trenta fendenti, tutti inferti in punti non vitali. Per accoltellare una persona così tante volte di tempo ce ne vuole. L’aggressione dura non meno di due o tre interminabili minuti. Forse anche di più.

Il 33enne, ex socio in affari di cocaina proprio di Nocera, viene lasciato a terra sanguinante e sofferente, mentre i suoi aguzzini lo guardano spegnersi lentamente. È notte fonda quando Albanese smette di lamentarsi. Il suo corpo viene nascosto alla bell’e meglio e poi tutti a casa. Per una doccia. E una dormita, come se nulla fosse successo. Il pomeriggio successivo, sempre stando a quanto hanno potuto ricostruire i poliziotti della squadra mobile, i killer si danno appuntamento in via Patrioti a Guanzate, nella palazzina mezza diroccata di proprietà dei fratelli Andrea e Filippo Internicola, 46 e 42 anni di Lurago Marinone, e di Rodolfo “Rudy” Locatelli, 39 anni di Guanzate, per una grigliata.

Con i sacchetti del supermarket pieni di costine e bistecche, cinque o sei persone vengono notate dai vicini accendere il barbecue per una cena all’aperto. Calato il buio alcuni commensali montano in auto e partono alla volta del bosco, dov’è stato abbandonato il corpo di Albanese. Lo caricano nel bagagliaio e lo riportano in via Patrioti. La buca, profonda circa tre metri, è già stata scavata. Il cadavere, nudo ad eccezione di un orologio e di una braccialetto, viene gettato nella fossa e ricoperto di calce. Resterà in quell’anonima tomba fino a mercoledì 1 ottobre, quando gli uomini della scientifica e della mobile, con l’ausilio dei vigili del fuoco, lo ritrovano.

Un’inchiesta complicata, a margine della quale vengono arrestati i fratelli Internicola e Rudy Locatelli: nessuno di loro, però, viene formalmente accusato dell’omicidio. Eppure è proprio nell’ambito dell’inchiesta sulla scomparsa di Albanese che vengono intercettati dalla polizia mentre organizzano un sequestro di persona e una rapina. Sotto inchiesta finisce pure Nocera, per via di quella ruspa il cui calco è ora al vaglio degli accertamenti scientifici per verificarne la compatibilità con la fossa dov’è stato sepolto il corpo del 33enne di Fino. E poi c’è la figura di Virgato, una vita dentro e fuori dal carcere, e formalmente accusato del tentato omicidio dei due ignari vicini di casa di Albanese.

Se fosse una sceneggiatura, sarebbe troppo assurda per essere credibile. E invece è la realtà. È come si può morire nel Comasco, in una notte di fine primavera.

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