Arnaldo, nonno giardiniere
A 92 anni tiene testa al covid

DIOGENE / Nella residenza “Le Camelie” ce la sta mettendo tutta per sconfiggere il virus e intanto cura piante e fiori

Domani torna in edicola Diogene (in omaggio con La Provincia). Questa è la storia di copertina pubblicata la scorsa settimana

«Arnaldo, buongiorno! Come sta?». Inizia così la video-chiamata con il nonno-giardiniere della residenza per anziani “Le Camelie” di Como.

Arnaldo ha in corso una battaglia importante: sta sconfiggendo il Covid-19 e ce la sta mettendo tutta. «Benone» dice e già sorride. Si capisce che ha voglia di raccontare e raccontarsi. Gli animatori della struttura gli hanno sistemato un cappellino in testa e gli occhiali da sole. Da giorni è pronto per l’intervista, che è stata anche rimandata per motivi di palinsesto. Lui non è la prima volta che parla con i giornalisti, è finito anche in tv di recente. È simpatico, disponibile e ha sempre l’aneddoto in tasca.

Nelle settimane di lockdown ha continuato a far fiorire il terrazzo del reparto Covid-19 in cui è ancora ricoverato, quasi volesse lanciare un abbraccio al mondo fuori, quello che non si è mai fermato nemmeno nella fase più dura della pandemia, contribuendo con un po’ di colore a rafforzare la vicinanza, a guardare oltre la sofferenza di quei giorni terribili. Ma quel fiorire è stato anche il conforto per gli altri pazienti del reparto e del personale e l’ancora di salvezza per lo stesso Arnaldo, l’impegno quotidiano che gli ha permesso di trovare un senso e di non lasciarsi andare.

La vista del lago

«Adesso sono qui che mi godo la vista del nostro bel lago dal terrazzo, immerso nel verde e con il sole in fronte – continua - Se giriamo l’i-Pad le faccio vedere le mie piante. C’è l’insalata, ci sono i pomodorini, e lì nell’angolo un girasole. Me le sono fatte portare qui nel reparto Covid-19, avevano bisogno di qualcuno che se ne prendesse cura e non potevo abbandonarle. Sono due anni, dal mio ingresso in struttura, che coltivo qualche fiore e qualche ortaggio. D’altronde per 40 anni ho fatto il contadino e poi sono diventato giardiniere. La natura mi è sempre piaciuta».

Arnaldo Gatti, originario di Muggiò, ha 92 anni. Non ha nè moglie nè figli, gli sono rimaste due cugine, che però non vede da mesi. Ciò rappresenta per lui la mancanza più forte. È però sulla via della completa guarigione dal coronavirus e presto potrà finalmente tornare a incontrarle.

«Lo dico subito, all’inizio non ero particolarmente spaventato da questa malattia, pensavo fosse un’influenza più forte delle altre, che sarebbe passata in fretta. Ma poi ho capito che qualcosa era diverso. Le porte del ricovero sono state chiuse, i parenti non venivano più a trovarci, e se non fosse stato per gli operatori, ci saremmo sentiti tutti molto soli».

Arnaldo è rimasto a letto per due settimane. La febbre era abbastanza sotto controllo. Non presentava problemi respiratori e fortunatamente non è mai stato attaccato a un ventilatore.

«Però mi era passato l’appetito e mi sentivo più stanco. Poi mi hanno trasferito al reparto Covid-19. Dalla finestra della mia camera vedevo tutti i giorni arrivare il carro funebre. E pensavo continuamente che quello non era un buon segno. Infatti durante questi mesi, ho perso diversi compagni di stanza».

Sono stati momenti tristi, ancora di più senza la presenza di un familiare o senza la possibilità di un abbraccio. «Passavo le giornate a guardare la tv. Ho impressa nella memoria la scena delle bare che hanno sfilato in centro a Bergamo – confessa, commosso, gli si spezza la voce – Sono rimasto impressionato dalla colonna di carri funebri, mi hanno spaventato quelle immagini, che mi pareva arrivassero da una situazione di guerra. Eppure io la guerra vera l’ho vista davvero...».

Oggi che tutto è ripreso e si va verso il ritorno alla normalità i racconti di quei giorni sembrano già lontani. Forse dimentichiamo troppo in fretta, forse non diamo il giusto peso a quello che è accaduto, forse la paura che si possa ripresentare una situazione del genere ci fa scegliere di guardare altrove.

Ma per le persone come Arnaldo l’isolamento forzato è ancora una realtà. Il virus è lì, accanto, che non molla. E ogni giorno si spera che arrivi quel fatidico tampone negativo, anche per chi è da sempre asintomatico, quel via libera per tornare a incontrare il mondo e a spalancargli cuore e braccia.

«Durante le fasi più acute dell’epidemia, guardavo dal terrazzo delle Camelie e il lago era deserto. Non c’era nessuna imbarcazione che navigava. E mi pareva che la natura fosse tornata a riappropriarsi del mondo. La mattina non sentivo più le macchine passare in strada, ma il canto degli uccellini. Era un altro mondo. Era un bel risveglio».

La paura più grande

Per Arnaldo la paura più grande è che la pandemia non sia terminata. «Mi spaventa molto l’idea che il virus possa tornare anche più forte di prima e che ancora non si sia arrivati alla scoperta di un vaccino, magari questo autunno quando il clima peggiorerà e ci sarà la nuova stagione delle influenze dovremo fare i conti con una ricaduta. Anche se devo dire che qui mi sento sicuro e protetto. Tutti, dagli operatori agli infermieri a i medici, sono eccezionali e mi sono sempre stati accanto».

C’è la voglia anche di uscire dalla struttura. «Prima andavamo qualche volta a mangiare a Villa Geno, piuttosto che alla Festa di Sant’Abbondio. Non vedo l’ora di fare qualche gita all’aperto o almeno di riprendere le attività di animazione di gruppo, ricongiungendomi con gli altri ospiti e mettendo fine a questo isolamento forzato».

La prima cosa che farà Arnaldo, quando finalmente sarà dichiarato fuori pericolo, è però una sola. «Voglio guardare negli occhi le mie cugine e scambiarci quell’abbraccio che ci è mancato in tutto questo tempo. Magari le porterò a vedere come sono cresciute le mie piante. E ritrovarsi insieme sarà il dono più grande che io possa ricevere».

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