«Bossetti aveva già visto Yara»
Nuovi elementi contro il muratore

Yara non è stata una vittima casuale e probabilmente Massimo Bossetti l’aveva già adocchiata in precedenza. È questa – stando a quanto trapela da fonti vicine a chi indaga – la pista percorsa dagli inquirenti, in base ad una serie di elementi raccolti prima e dopo il fermo.

Massimo Bossetti aveva già adocchiato Yara prima del 26 novembre. E’ questa-a quanto trapela da fonti vicine a chi indaga- la pista percorsa dagli inquirenti, in base ad una serie di elementi raccolti prima e dopo il fermo.

Il solarium frequentato da Bossetti, all’epoca della scomparsa di Yara, sorgeva vicino alla fermata dell’autobus che accompagnava a casa la ragazza dopo la scuola e allo studio dentistico dove spesso la ragazza si recava. Tutte occasioni in cui Bossetti, che pare andasse a fare le lampade un paio di volte a settimana, potrebbe aver visto Yara, magari con una scusa averci addirittura parlato, guadagnando la sua fiducia.

Del resto gli inquirenti sono sempre più convinti che la vittima conoscesse il suo aggressore e che questi l’abbia convinta o persuasa a salire spontaneamente sul suo furgone, la sera del 26 novembre. Si tende ad escludere che la ragazza sia stata fatta salire con la forza; i flussi di traffico nei pressi del centro sportivo indicano che troppi veicoli all’ora della scomparsa passano per quella via ed è impossibile che nessun automobilista abbia notato un’eventuale cattura Gli inquirenti inoltre non avrebbero dubbi sui filmati di quella sera: il furgone ripreso dalle telecamere sarebbe sicuramente quello di Bossetti. Ed emergono ulteriori contraddizioni nelle dichiarazioni del muratore di Mapello.

Nel frattempo gli avvocati hanno presentato una nuova richiesta di scarcerazione. I legali di Massimo Bossetti sono convinti di aver “demolito” almeno tre punti dell’ordinanza con la quale il gip di Bergamo ha tenuto in carcere il muratore arrestato il 16 giugno: i risultati delle celle telefoniche, le tracce di calce nei bronchi di Yara e il racconto del fratellino della ragazza su

quell’uomo “con la barbetta” e “cicciottello” di cui la sorella aveva paura.

Sul quarto, quello più pregnante, cioè il Dna trovato sul corpo di Yara, intendono comunque dare battaglia. Nel ricorso al Tribunale della libertà di Brescia, gli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni intendono sottolineare gli aspetti che, a loro avviso, “non sono stati presi in considerazione dal gip”. E vogliono che sia discusso l’elemento del Dna trovato sul corpo della ragazza e attribuito a Bossetti, dal momento che “è lo stesso Ris a dare atto di una situazione oggettivamente deteriorata”. «Senza voler mettere in dubbio la riconosciuta

professionalità del Ris - hanno spiegato - è questo un elemento che va affrontato in contraddittorio per fugare i dubbi».

© RIPRODUZIONE RISERVATA