Bossetti: «L’omicidio di Yara
una vendetta contro il padre»

Massimo Bossetti, durante gli interrogatori in carcere, ha rispolverato un’ipotesi già vagliata anni fa: l’omicidio come «vendetta contro il padre»

Non solo le frequenti perdite di sangue dal naso e la possibilità che qualcuno abbia rubato uno dei suoi attrezzi da lavoro, usandolo poi per uccidere Yara. Per difendersi Massimo Giuseppe Bossetti ha rispolverato, davanti ai magistrati di Bergamo, anche un’ipotesi che era già circolata qualche settimana dopo la scomparsa della ragazzina di Brembate di Sopra: l’omicidio come ’’vendetta contro il padre’’, la punizione per uno sgarro non tollerato da personaggi poco raccomandabili che lavoravano nei cantieri della zona.

’«In cantiere dicevano tutti che Yara era stata uccisa per una vendetta contro il padre’», ha messo a verbale il muratore di Mapello davanti al gip Ezia Maccora, lo scorso 19 giugno, tre giorni dopo il fermo. Da quanto si è saputo, però, Bossetti, che è stato anche interrogato dal pm Letizia Ruggeri martedì scorso, si è limitato a riportare delle ’’voci’’ che circolavano nel suo ambiente di lavoro, ’’chiacchiere da bar’’ che non ha potuto supportare con alcun indizio utile. Al giudice che gli ha chiesto se nei cantieri dove lavorava si discuteva dell’omicidio di Yara, il muratore ha risposto che l’argomento ’’era all’ordine del giorno’’ e che si parlava di ’’una vendetta’’ legata ’’a presunti rapporti tra la ditta Lopav’’ e ’’il signor Gambirasio che fa il geometra nell’edilizia’’.

Un’ipotesi, quella di presunti legami tra l’azienda, ambienti criminali e il

caso Yara, già venuta a galla sui media ma a cui gli inquirenti all’epoca, dopo le verifiche del caso, non hanno dato credito perché priva di riscontri. ’’Non ho nulla da nascondere e non ho nessun nemico’’, disse Fulvio Gambirasio, padre di Yara, il 12 dicembre del 2010.

Mentre i legali del presunto assassino, gli avvocati Silvia Gazzetti e Claudio Salvagni, sono in silenzio stampa, la sensazione è che la difesa non voglia tralasciare alcuna pista alternativa per dimostrare l’innocenza del carpentiere, al momento inchiodato dalla prova del Dna e dalla sua presenza, registrata da una cella telefonica e da immagini di telecamere di sorveglianza, attorno alla palestra di Brembate il 26 novembre del 2010, quando scomparve la tredicenne. La telecamera dell’area di servizio situata davanti al centro sportivo avrebbe ripreso il suo autocarro alle 18.01 di quel pomeriggio, mentre il suo cellulare aveva agganciato una cella telefonica in quell’area già alle 17,45. La presenza di Yara nella zona, invece, è registrata alle 18,49 (il suo telefonino agganciò la cella e poi risultò spento). Tutti elementi che gli inquirenti ritengono a favore dell’accusa, ma che per Bossetti, invece, potrebbero anche dimostrare la sua estraneità: se è vero, infatti, come sostiene l’accusa, che per più di tre quarti d’ora, tra le 18,01 e le 18,49, il muratore ha girato attorno alla palestra altre telecamere, stando al ragionamento difensivo, avrebbero dovuto riprendere il suo furgone.

Mentre il carpentiere prova a ribadire la sua innocenza in tutti i modi (si è descritto come una persona ’’abitudinaria’’ che non ha ’’mai fatto male a nessuno’’), gli investigatori continuano a vagliare le immagini delle telecamere anche della zona di Chignolo d’Isola dove venne trovato il cadavere. Bossetti, stando alle analisi delle celle telefoniche, potrebbe essere stato là qualche giorno dopo la sparizione della ragazza, il 6 dicembre 2010. A comprare del materiale da lavoro, secondo la sua versione. Non ci sarebbero, però, fatture o documenti che lo dimostrano. Ai magistrati il muratore ha raccontato anche che la madre lo mise al corrente di essersi sottoposta nell’estate del 2012 al test del Dna: ’’mi chiese - ha spiegato - se avevano chiamato anche me e io risposi di no, ma che se lo avessero fatto sarei andato subito’’. Bossetti resta convinto che a processo (senza rito immediato ci vorrà quasi un anno per arrivare a dibattimento) riuscirà a convincere i giudici che non è un assassino.

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