«Così la ’ndrangheta nel Comasco»
Commissione antimafia in città

In biblioteca presentato il rapporto sulle “Mafie al Nord” con Rosy Bindi e Nando Dalla Chiesa «La criminalità non punta più solo al denaro ma a relazioni sociali e al controllo del territorio»

Una mutazione genetica delle organizzazioni mafiose, capaci di infiltrarsi - non con la forza, ma chiamate dagli stessi imprenditori - nelle aziende e nella società civile, per procacciarsi non tanto denaro quanto relazioni sociali e informazioni, in una parola controllo del territorio.

Una mutazione potenzialmente eversiva, perchè va a intaccare la struttura sociale. È il ritratto della criminalità organizzata - soprattutto la ’ndrangheta - dalle nostre parti, così come emerge dal secondo rapporto “Le Mafie al Nord” redatto per la Commissione Antimafia dall’Università di Milano - che fa sintesi delle inchieste che hanno toccato anche il nostro territorio negli ultimi anni - raccontato ieri pomeriggio in biblioteca dal coordinatore del gruppo di lavoro che l’ha realizzato, Nando Dalla Chiesa, insieme con la presidente della Commissione, Rosy Bindi, ad Antonio Girelli, membro della Commissione regionale antimafia e, nelle vesti di moderatore, al giornalista di “Repubblica” Piero Colaprico.

L’incontro ha seguito l’audizione, tenutasi al mattino in Prefettura, alla presenza del prefetto Bruno Corda, del prefetto vicario di Lecco Gaetano Terrusi, dei comandanti provinciali delle forze di polizia e dei procuratori della Repubblica di Como e Lecco.

Dalla Chiesa ha iniziato smontando un paio di luoghi comuni: la mafia evoluta, quella in doppiopetto e che manda i figli a Oxford, non esiste.Il mafioso resta quello che era, nel profilo sociologico - piccolo artigiano o pensionato, “popolo nel popolo” - e nei metodi, anche se magari il ricorso alla violenza lo riserva per gestire le criticità in un secondo momento e non per entrare in un ambiente. Anche perché non ne ha bisogno: «Non serve la pistola, questi personaggi vengono chiamati dagli imprenditori, spesso anche a causa della crisi. Da noi non ci sono più imprenditori vittime del pizzo, ma imprenditori che hanno chiesto credito e hanno accettato di fare società con membri della ’ndrangheta», ha detto Rosy Bindi.

Un’infiltrazione che tocca anche le istituzioni, la merce di scambio a cui punta il corrotto sono le risorse della politica: cariche, consulenze, carriere politiche. «Risorse - ha aggiunto Dalla Chiesa - di cui non dispone il privato , ma il sistema: e il mafioso oggi sa che il suo interlocutore è il sistema».

E alle tradizionali aree di operatività delle mafie in aziende legali - prima fra tutte i lavori pubblici - si sono aggiunti tre nuovi, formidabili filoni di investimento: la sanità, le società sportive e i rifiuti, dove i primi due hanno un valore aggiunto - consenso sociale, allargamento del bacino elettorale - tale da rendere quasi secondario il pur enorme interesse economico.

E la politica? «Le mafie si confrontano con livelli istituzionali regionali e comunali» ha detto la Bindi, auspicando che da quel livello partano le prime contromisure.

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