Fenegrò, mandò il figlio a combattere
Il mujaheddin davanti al giudice

Con l’accusa di terrorismo internazionale ieri udienza a carico di due cittadini: il più giovane è in Siria a combattere

Si è aperta a Milano l’udienza preliminare a carico di padre e figlio, residenti a Fenegrò, accusati di terrorismo internazionale. In realtà davanti al giudice si è presentato soltanto il padre, visto che il figlio si trova - secondo quanto sospettano gli inquirenti - in Siria a combattere come Foreign Fighter.

In apertura di udienza la difesa ha chiesto di sentire altri due testimoni, ovvero due agenti della Digos di Como che hanno condotto le indagini, insieme ai colleghi milanesi, a carico di Sayed Fayek Shebl Ahmed, l’ex mujaheddin egiziano in Bosnia ma residente a Fenegrò, a processo con rito abbreviato a Milano con l’accusa di associazione con finalità di terrorismo.

Accusa anche mossa nei confronti del figlio Saged, 23 anni, pure lui destinatario di una ordinanza di custodia cautelare in carcere mai eseguita in quanto - come anticipato - attualmente si troverebbe in Siria come foreign fighter.

Il 52enne, ora detenuto nel carcere di Nuoro, ha partecipato in video-conferenza all’udienza di oggi davanti al giudice delle udienze preliminari di Milano Stefania Pepe, che, nella prossima udienza del 5 febbraio, deciderà sulla richiesta avanzata dalla difesa.

In calendario sono state fissate altre due udienze per il prossimo 7 marzo e 26 marzo. Da quanto è emerso nell’ambito dell’operazione dal nome “Talis pater”, coordinata dal pubblico ministero Enrico Pavone e dal responsabile dell’antiterrorismo milanese Alberto Nobili, l’uomo avrebbe tentato in ogni modo di convincere il figlio maggiore ad andare a combattere in Medio Oriente, tanto che per mantenerlo gli inviava ogni mese circa 200 euro.

Era infatti un orgoglio per lui avere un «martire in famiglia», mentre il figlio minore di 22 anni, Hamza, veniva definito da lui un «cane che è fidanzato con una sporca italiana» e che vuole vivere alla occidentale.

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