I cinghiali invadono le valli
Il sospetto: importati abusivamente

Sono migliaia, devastano le colture e i campi. Gli allevatori: «I risarcimenti? Sono ridicoli». E in valle si racconta di importazioni dall’Est mentre cresce anche il numero dei cervi: «Devastano i campi, non abbiamo più fieno»

«Guardi questo campo. Lo scorso maggio ci ho fatto sedici balle di fieno da quattro quintali. Dovrebbe esserci l’erba alta mezzo metro... Mi dica lei. Sembra che siano passati con la mietitrice».

Sebastiano Ruiu fissa il suo terreno, un grande prato appena sotto il livello della strada che da San Fedele conduce a Blessagno. La Val d’Intelvi si spalanca a perdita d’occhio oltre il limitare del bosco. Centinaia di ettari di verde già invecchiati, qua e là innaffiati dai colori dell’autunno. La siccità, quest’anno, ha accorciato la stagione.

Ruiu è uno dei pochi coltivatori della valle. Gestisce un agriturismo all’alpe. Un centinaio di capre («nere di Verzasca - precisa - capre rustiche, autoctone»), qualche vacca, tanta frutta e un paio di nemici: i cervi e, soprattutto, i cinghiali.

«Ce ne sono a migliaia - dice - Ogni tanto provano a censirli ma è impossibile. Del resto le femmine partoriscono due volte all’anno. E non muoiono mai. Le basti sapere che quest’inverno la scrofa della mia vicina è stata coperta da un maschio di chinghiale. Qui, in genere, se un maiale partorisce in inverno c’è bisogno di luce artificiale, riscaldamento, cure veterinarie... Altrimenti i piccoli muoiono. Beh, quella scrofa ha partorito sette cuccioli lassù, sul costone della montagna, in mezzo alla neve. E sono tutti sopravvissuti».

Negli ultimi due anni la convivenza con i cinghiali, su queste montagne, ha provocati danni per centinaia di migliaia di euro. Terreni, coltivazioni, allevamenti. La montagna appartiene a loro, specie non autoctona introdotta chissà da quando e chissà da chi, con conseguenze disastrose per l’economia. Inutile confidare nei proverbiali risarcimenti da parte dell’amministrazione provinciale: «Basta chiedere a un qualunque consulente tecnico capace, a un qualunque agronomo per capire che ci restituiscono cifre irrisorie».

I cervi brucano, i cinghiali scavano devastando un ecosistema cui non appartengono. E mentre Ruiu e i suoi colleghi bruciano migliaia di euro per costruire palizzate e proteggere le proprie culture, in valle si racconta la «vera storia» di questi grossi maiali selvatici che aggrediscono gli escursionisti e spadroneggiano nei centri abitati.

Non è facile capire quanto ci sia di vero (sul lago si dice che se uno perde il cappello in piazza a Menaggio per un refolo di vento, a Colonno il cappello è già diventato la testa) ma è sicuro che qualcuno deve averli introdotti. «Da qualche parte saranno pure arrivati... Vent’anni fa non ce n’erano». E allora: acquistati nei paesi dell’est europeo, sarebbero stati immessi per anni abusivamente nel tentativo, riuscitissimo, di allestire un business piuttosto fiorente: in Romania costano 4 euro al chilo. Li importi in Italia vivi, li fai crescere nei boschi (magari anche nutrendoli, ché pure questo si racconta), poi li ammazzi di frodo, e la carne la rivendi a otto, nove euro. Albergatori e ristoratori, nel pieno della stagione, non dicono mai no. Con qualche incidente di percorso, magari. Come è capitato in Valsesia, dove 137 capi sono risultati contaminati, lo scorso marzo, con dosi massicce di Cesio 137, quello di Chernobyl, per intenderci.

Il problema vero, per gli agricoltori, è che non se ne ammazzano abbastanza, Nè di cervi, né di cinghiali. Ancora Ruiu: «In Svizzera è in funzione un meccanismo perfetto. Le autorità cantonali calcolano quanti sono gli animali di troppo. Poi incaricano dell’abbattimento gruppi selezionati di cacciatori che a colpi di fucile rimettono in ordine l’ecosistema. Se dopo gli abbattimenti, qualche agricoltore lamenta ancora danni - se cioè non è stata raggiunta la quota di abbattimenti prevista - allora a risarcire sono gli stessi cacciatori, che a quale punto diventano responsabili del loro operato».

In Regione Lombardia, intanto, qualcosa si muove. Lo scorso luglio il consigliere Francesco Dotti (per la cronaca si è attivato anche il consigliere Dario Bianchi) ha scritto a tutti i sindaci, chiedendo di essere edotto sullo stato dell’arte. La maggior parte ha risposto, segnalando situazioni davvero al limite. In alcuni Comuni dell’Intelvese, come a Pigra, sono state chiuse le aree giochi per i bambini, vista l’impossibilità di mantenere una sorveglianza anche in orario notturno, quando i cinghiali sono più attivi e più “prepotenti”. I dossier dei sindaci sono finiti sul tavolo dei membri della Commissione agricoltura. Dotti dice che l’assessore al Bilancio, Massimo Garavaglia si è già impegnato per stanziare un fondo a disposizione delle “vittime” di questa piaga a quattro zampe. Ma quassù in Val d’Intelvi preferirebbero tutti le carabine. Qualche euro in meno, qualche fucile in più. «E però non è facile neppure per noi - chiarisce Omar Piras, presidente dei cacciatori di Federcaccia a San Fedele - Possiamo suggerire qualche proposta, ma alla fine decide sempre l’amministrazione provinciale, che a sua volta deve sottostare a leggi nazionali ed europee. E poi, comunque, non siamo moltissimi. Con il numero di animali in circolazione, servirebbe un esercito».

Sebastiano Ruiu scruta il suo campo. Non servono gli investigatori di Csi a individuare i colpevoli di questo sfacelo: «Siamo noi allevatori, noi agricoltori i custodi di queste montagne. Altro che ambientalisti o animalisti. Aiutateci... O con noi moriranno anche le montagne».

Stefano Ferrari

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