Il mistero dell’oro del Congo
Fuso a due passi da Chiasso

Tre tonnellate di metallo prezioso, oltre 100 milioni di valore. Il Paese africano fa causa in Ticino

I traffici di lingotti a cavallo del confine non sono soltanto un affare italiano, o comasco, come lascerebbe intuire il proliferare di inchieste della procura in materia di lingotti e pietre preziose.

A due passi dal confine è ambientata una storia strana e ancora un po’ oscura che riguarda la fusione della bellezza di tre tonnellate d’oro - cioè 3mila chilogrammi, oltre cento milioni di euro - avvenuta in una raffineria di Mendrisio, la Argor-Heraeus. Ne dà notizia il settimanale ticinese “Il Caffé” tornando, in realtà, a una vecchia indagine penale della Procura ticinese, anno 2013, quando la Repubblica democratica del Congo, invischiata in una sanguinosa guerra civile, lamentò la sparizione e la fusione di quelle tre tonnellate di metallo prezioso provenienti da una delle zone più martoriate dal conflitto, nella quale i combattenti si erano appropriati illegalmente di alcune concessioni aurifere.

Si ipotizzarono reati di una certa importanza, dal riciclaggio alla complicità in crimini di guerra ma, neppure due anni più tardi, il procuratore pubblico ticinese archiviò tutto, ritenendo che nulla potesse contestarsi alla raffineria di Mendrisio, poiché non era possibile determinare se i suoi responsabili fossero o meno a conoscenza della provenienza dell’oro.

Ai congolesi l’esito dell’indagine non è evidentemente andato giù, se è vero, come è vero, che il governo africano ha chiesto alle autorità di Berna di poter consultare il dossier riguardante quella vecchia indagine finita in soffitta. Il motivo sarebbe l’intenzione di agire civilmente nei confronti dell’azienda ticinese.

Sempre secondo “Il Caffé”, il Tribunale amministrativo federale (cioè il Taf, equivalente del nostro Tar), ha parzialmente accolto un ricorso presentato dalla Repubblica del Congo, i cui funzionari, a questo punto, potranno avere accesso agli atti di indagine. L’obiettivo, come spiega Pierre Bayenet, l’avvocato svizzero che rappresenta il Paese africano, sarebbe quello di «ottenere una compensazione legittima per il saccheggio di cui il suo suolo è stato vittima».

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