«Il bimbo in braccio
Il papà ha chiamato
per chiedere aiuto»

Il drammatico racconto dei vicini di casa

«Abbiamo visto che il piccino era ferito»

A dare l’allarme al 118 sono stati i vicini di casa. Antonietta Venini è una volontaria del Soccorso degli Alpini di Mandello, è stato suo figlio Paolo De Battista ad aprire la porta a Stefano Imberti, con in braccio il bimbo ferito.

«Abbiamo sentito gridare, sul momento avevamo pensato ai soliti schiamazzi di giovani esagitati - racconta Teresa Torchio, che vive in un appartamento appena dietro l’angolo rispetto all’abitazione della famiglia Imberti -. Siamo accorsi a vedere e c’era Stefano con il bambino in braccio. Si vedeva che era ferito, ma pensavamo a ferite superficiali. Poi sono arrivate le ambulanze e i carabinieri».

«Assolutamente serena»

«Quando stamattina abbiamo saputo che il piccolo era morto è stata una doccia fredda - prosegue Teresa Torchio -. Era una bella famiglia, unita, con due splendidi bambini che la mamma adorava. Non riesco a capacitarmi che sia accaduto davvero. Con lei c’era una simpatia reciproca, era una ragazza in gamba, non c’è mai stato nulla che potesse lasciar presagire questa tragedia».

Poco più in là abita Graziella Muzio: anche dalle sue parole trapela sgomento. «Davvero una cosa fuori dal mondo, li avevo visti anche ieri pomeriggio, la mamma e i due bambini, erano passati davanti al mio cancello mentre ero in giardino e ci siamo fermati a chiacchierare un po’, come sempre. Lei era assolutamente normale, era serena, i bambini bellissimi, allegri e simpatici».

Il tempo di fare un giro del nucleo antico della frazione e sopraggiungono i carabinieri della stazione di Mandello, che stanno accompagnando due uomini nella casa della tragedia: entrano, ci rimangono per qualche minuto, e poi riescono a tutta velocità, sempre scortati dai militari dell’Arma.

Sono Stefano Imberti e suo cognato Renato Trabucchi, marito della sorella Laura. Imberti trascina due grossi sacchi azzurri dove ha evidentemente stipato indumenti e oggetti personali. A casa infatti non può restare: la Procura della Repubblica di Lecco ha messo i sigilli, l’ha posta sotto sequestro.

I carabinieri della Compagnia e del Comando provinciale di Lecco non hanno perso tempo e hanno subito proceduto anche con le analisi scientifiche sulla scena del crimine. Non che ci siano dubbi sull’accaduto, a ferire a morte il piccolo Nicolò è stata la sua mamma, ma c’è una dinamica dell’accaduto che va ricostruita con precisione: grazie alla testimonianza di chi era presente alla tragedia, ossia il padre-marito, ma anche ai riscontri dei rilievi tecnici. Molto di quel che emergerà nei prossimi giorni sarà fondamentale, per l’accusa ma anche per la difesa.

«Non riusciamo a crederci»

Intanto, ad Abbadia non si parla d’altro. Per le strade, nelle piazze, nei bar.

«Mia figlia ha sei mesi - racconta una giovane mamma con una frugoletta nel passeggino -. Non posso nemmeno pensare di poterle fare del male».

«Mah, bisogna capire cose le è passato per la testa - è l’opinione di un uomo -. Io due figli li ho avuti, vicini d’età. Credo di non aver dormito per tre anni. C’erano giorni in cui, per andare al lavoro, abbassavo il finestrino della macchina e cacciavo fuori la testa, tanto grande era il rischio di addormentarmi al volante. L’assenza di sonno ti può far uscire di senno. Ora, non dico che sia questo il caso, ma può essere anche andata così».

«Quando senti certe notizie, mai penseresti che potrebbe capitare anche al tuo paese - commenta un gruppo di anziani fuori dal cimitero -. Davvero sembra impossibile che sia successo qui. Era una bella famiglia, unita, affiatata. Lei una bellissima ragazza, serena, inserita. A volte si vedevano i genitori di lui in giro con i passeggini, non riusciamo nemmeno a immaginare il dolore, lo strazio. Povero piccolo, un angioletto dai grandi occhi scuri e dal sorriso incontenibile. Speriamo solo che non abbia sofferto».n 

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