Il redditometro diventa
un incubo per i frontalieri

Gli occupati oltre confine dovranno giustificare i loro acquisti con le ricevute rilasciate all’estero

Il redditometro è uno spauracchio per tutti i contribuenti italiani, ma alcune categorie sono più soggette di altre ai controlli che il fisco sta portando avanti per scovare chi spende più di quanto i redditi dichiarati gli permetterebbero.

Una di queste sono i frontalieri, oltre 55 mila lavoratori italiani, 22 mila dei quali residenti in provincia di Varese, con un reddito minimo, secondo quanto imposto dal sindacato elvetico Unia, di quattromila franchi, circa tremila e duecento euro.

I pendolari della frontiera, infatti, fino ad ora non hanno dovuto presentare la dichiarazione dei redditi, perché le imposte del lavoro svolto in Svizzera vengono trattenute alla fonte. In più, per vedersi accreditato lo stipendio dal datore di lavoro, i frontalieri hanno giocoforza un conto corrente in una banca elvetica. Potrebbero, quindi, passare per evasori fiscali agli occhi dello Stato Italiano, che non ha prove della provenienza del reddito. La circolare sul redditometro dell’Agenzia delle Entrate, però, lascia una speranza ai frontalieri: «Il redditometro avrà cura di evitare situazioni di marginalità economica e categorie di contribuenti che, sulla base dei dati conosciuti, legittimamente non dichiarano in tutto o in parte i redditi conseguiti».

Niente paura, quindi: basterà dichiarare il proprio status di frontaliere al fisco italiano, compilando un modello ad hoc, e si potrà continuare a dormire sonni tranquilli. «Il cittadino può provare – dice infatti la circolare – che le spese sostenute sono state finanziate con redditi esenti o soggetti ad imposta alla fonte, oppure con redditi legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile». Secondo Paolo Lenna, responsabile varesino dei frontalieri per la Cgil provinciale, «quello del redditometro, per i frontalieri, è un falso problema. Basta compilare il quadro N all’interno del modello Unico, e chi abita entro i venti chilometri dal confine non dovrà pagare niente di più allo Stato Italiano». Le paure restano ma, secondo Lenna, «riguardano solo chi sa di essere evasore. Quindi meno del dieci per cento dei frontalieri».

Non è d’accordo Pietro Roncoroni, il sindaco di Lavena Ponte Tresa, comune di frontiera, i cui residenti sono lavorano quasi tutti in Svizzera: «Hanno paura di perdere il proprio status tributario, fino ad oggi particolare, che li ripaga dei sacrifici fatti ogni giorno per recarsi al lavoro oltre confine» spiega il sindaco. Perché l’equilibrio tra frontalieri e Stato Italiano è fragile: da una parte i lavoratori sono convinti di essere una grande risorsa, perché importano in Italia valuta pregiata. Dall’altra, spiega Roncoroni, «guardano con un po’ di sospetto uno Stato che chiede loro di dimostrare la provenienza dei propri redditi, e poi non li aiuta come si aspetterebbero nel momento del bisogno, come è avvenuto in passato».

Una questione di fiducia, quindi, ma il coltello dalla parte del manico ce l’ha comunque il fisco. Il frontaliere che non dichiara i propri redditi potrebbe finire sotto i riflettori dell’Agenzia delle Entrate, e vedersi costretto a presentare buste paga, estratti conto e tutti i documenti necessari a dimostrare la propria posizione. «Si tratterebbe comunque di un controllo, niente di più» conclude Lenna. Ma tra i frontalieri la preoccupazione inizia a farsi sentire.

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