Italia, aumenta la povertà
A rischio un cittadino su tre

L’indice che misura la disuguaglianza tra i redditi in Italia risulta «sopra la media europea”: la Penisola, «nella graduatoria dei Paesi dell’Ue, occupa la ventesima posizione».

Lo rileva l’Istat, con riferimento a dati del 2015 e a cosiddetto indice di Gini (pari allo 0,331 contro lo 0,307 europeo). Guardando più in là, al 2016, l’Istituto fa notare che mentre da noi il rischio di povertà o esclusione sociale sale al 30% a livello Ue diminuisce (da 23,8% a 23,5%). Tuttavia non in tutti i Paesi accade lo stesso: si registra un rialzo su base annua anche per Romania e Lussemburgo. Inoltre, «il valore italiano si mantiene inferiore a quelli di Bulgaria (40,4%), Romania (38,8%), Grecia (35,6%), Lettonia (30,9%)». Ma, aggiunge l’Istat, il rischio è «molto superiore a quelli registrati in Francia (18,2%), Germania (19,7%) e Gran Bretagna (22,2%) e di poco più alto rispetto a quello della Spagna (27,9%)». I Paesi con il livello più basso dell’indicatore sono Repubblica Ceca (13,3%), Finlandia (16,6%), Paesi Bassi e Danimarca (entrambi 16,7%).

Mediamente il reddito medio annuo per famiglia è pari a 29.988 euro, più o meno 2.500 euro al mese. Ma essendo una media quei quasi 30mila euro l’anno non sono per tutti. Metà dei nuclei familiari residenti possono contare su un reddito netto che non supera i 24.522 euro (circa 2.016 euro al mese, con un +1,4% rispetto al 2014).

La popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale include tutti coloro che si trovano in almeno una tra tre condizioni: appunto, risultino a rischio di povertà, vivendo in famiglie sotto la soglia dei 9.748 euro annui; o in condizioni di grave deprivazione materiale (mostra cioè almeno quattro dei nove segnali di deprivazione previsti, dall’essere in ritardo con i pagamenti a non potersi permettere di riscaldare in modo adeguata la casa o andare fuori, in vacanza, per una settimana); o si trovino in famiglie a bassa intensità di lavoro, ossia con componenti tra i 18 e i 59 anni che hanno lavorato meno di un quinto del tempo (se si fa riferimento a una singola persona si tratta di meno di tre mesi l’anno) . «Nel 2016 si stima che le persone a maggior rischio di povertà o esclusione sociale vivano in famiglie di coppie con tre o più figli (46,1%), monogenitore (38,8%) e in famiglie con cinque o più componenti (43,7%). Ciò è dovuto in particolare all’elevata incidenza del rischio di povertà e della grave deprivazione, che per le famiglie numerose è pari rispettivamente a 34,4% e 17,7%», spiega l’Istat. Inoltre, «elevati livelli di rischio di povertà o esclusione sociale si osservano anche tra coloro che vivono in famiglie monoreddito (46,7%) o in famiglie con fonte principale di reddito non proveniente da attività lavorative (35,8% se la fonte principale è una pensione e/o un altro trasferimento pubblico, 67,4% se si tratta di altra fonte)». Quanto all’intensità de fenomeno sul territorio, «quasi la metà dei residenti nel Sud e nelle Isole (46,9%) sia a rischio di povertà o esclusione sociale, contro il 25,1% del Centro, 21,0% del Nord-ovest e il 17,1% del Nord-est». E ancor, «tra coloro che vivono in famiglie con almeno un cittadino non italiano il rischio di povertà o esclusione sociale è quasi il doppio (51,0%) rispetto a chi vive in famiglie di soli italiani (27,5%)».

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