La triste conferma: i ghiacciai stanno male

In Valtellina continuano ad arretrare e dal Servizio glaciologico lombardo arrivano numeri allarmanti. Nonostante le precipitazioni di primavera, il caldo e la polvere sahariana hanno provocato una fusione anticipata.

I ghiacciai in Valtellina continuano ad arretrare e dal Servizio glaciologico lombardo arriva una triste conferma: i dati dell’inverno 2017-18 sono i peggiori degli ultimi anni. Un trend in linea, purtroppo, con quello dei decenni precedenti, nei quali alcuni sono spariti e gli altri si sono ridimensionati. Le analisi delle ultime stagioni estive sono ancora più allarmanti. Lo conferma Riccardo Scotti, geologo nato nel 1980 a Morbegno, assegnista di ricerca al dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Bologna e responsabile scientifico del servizio glaciologico lombardo.

Scotti ha partecipato con diversi incarichi a numerose e prestigiose spedizioni in Alaska, Norvegia e Georgia, ma concentra la propria attenzione soprattutto sulle Alpi, le cime che frequenta sin dall’infanzia. All’attività scientifica svolta in uno dei più antichi atenei d’Europa affianca le indagini curate sul campo e una costante opera di divulgazione rivolta ad alpinisti, ambientalisti e studenti.

Dal suo osservatorio, purtroppo, non arrivano indicazioni incoraggianti, perché l’aumento delle temperature medie continua a produrre un’accelerazione dei ritmi di regresso dei ghiacciai lombardi. «Perdono lunghezza e spessore in modo sempre più rapido: abbiamo rilevato tassi di riduzione fino a sette volte maggiori rispetto al passato», premette. Secondo i dati raccolti nei siti nivologici del Servizio glaciologico lombardo, la stagione di accumulo 2017/2018 è stata contraddistinta da un precoce inizio nel mese di settembre, utile soprattutto per chiudere anticipatamente l’intensa fusione glaciale dell’estate 2017. L’autunno è proseguito sottotono. Gli eventi nevosi hanno iniziato a farsi più consistenti dal mese di dicembre, permettendo un discreto recupero del deficit iniziale. «A Sud delle Alpi alla fine dell’inverno gli accumuli sono stati tendenzialmente allineati alla media degli ultimi anni», rileva Scotti.

Le precipitazioni nel trimestre primaverile si sono rivelate leggermente sopra la media (+ 15%), ma sono state controbilanciate da un precoce esordio della fusione. A metà aprile un’intensissima fase calda, in connubio con una significativa deposizione di polvere sahariana, «ha innescato processi di fusione accelerata e trasformazione del mando nevoso da invernale a isotermico».

Le temperature molto elevate sono proseguite in maggio e giugno. «Con queste premesse è facile comprendere come i bilanci invernali sui ghiacciai lombardi, misurati tipicamente dalla fine di maggio ai primi di giugno, abbiano mostrato valori generalmente al di sotto della media». Complessivamente i bilanci invernali 2017/18 risultano mediamente i più negativi dal 2007 per quanto riguarda lo spessore della neve al suolo e i più negativi dal 2012 in termini di equivalente in acqua. Questa situazione particolarmente deficitaria è stata causata non tanto dalla carenza di precipitazioni nella stagione di accumulo, quanto dalle alte temperature primaverili unite al consistente strato di polvere sahariana che ha anticipato l’inizio della fusione nivale.

«Partendo da una situazione così negativa, per ottenere dei bilanci di massa quantomeno in equilibrio, sarebbero necessari una fine di luglio ed un periodo agosto-settembre eccezionalmente freddi e perturbati, al momento una prospettiva piuttosto improbabile. Andiamo quindi incontro all’ennesima annata negativa per i ghiacciai lombardi». Non c’è spazio, purtroppo, per l’ottimismo. «Con il clima di oggi non c’è un equilibrio, sono destinati a scomparire. Per un’inversione di tendenza ci vorrebbe un cambiamento climatico che ora è estremamente difficile da prevedere», conclude Scotti.

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