L’inchiesta su Pantani
e le false accuse ai comaschi

Ecco la ricostruzione, punto per punto, dei fatti che portarono all’esclusione del Pirata dal Giro del ’99

Testimonianze e atti processuali dimostrano che i tre medici del Sant’Anna agirono correttamente

Como

Mistero è la parola utilizzata più spesso, in questi giorni, per sintetizzare i fatti che portarono all’esclusione di Marco Pantani dal Giro d’Italia del ’99. Quel 5 giugno, a Madonna di Campiglio, tre medici comaschi si occupano - in virtù di una convenzione tra Sant’Anna e Unione ciclistica - del campione di sangue del Pirata: dal prelievo fino all’analisi che farà emergere il valore di ematocrito oltre il limite consentito. I tre professionisti ora vengono chiamati in causa ancora, a quindici anni di distanza; si parla di errori nell’esame e di manomissioni della provetta. Accuse che, mettendo insieme gli atti del primo processo e alcune testimonianze, appaiono infondate. Le passiamo in rassegna una per una.

1) Iniziamo dal numero di medici del Sant’Anna in azione quella mattina, all’hotel Touring. Sono tre e non quattro: Eugenio Sala responsabile scientifico, Michelarcangelo Partenope fa il prelievo, Mario Spinelli analizza il campione.

Come andò quella mattina

2) I controlli sono davvero a sorpresa. Gli atleti sapevano che ci sarebbero stati due o tre volte durante il Giro, ma quella mattina non se l’aspettano. Immaginano che accadrà l’indomani, dopo la terribile tappa con il Mortirolo.

3) Al momento del prelievo di sangue, nella camera d’albergo di fronte a quella di Pantani, ci sono Sala, Partenope e Spinelli. Ma anche l’ispettore dell’Uci Antonio Coccioni e il direttore sportivo di Pantani, Giuseppe Martinelli: questi due sono alle spalle di Partenope, forse sulla porta, comunque a pochi passi.

4) Il protocollo dell’Unione ciclistica (Uci) non prevede l’obbligo di far scegliere la provetta all’atleta. Viene presa a caso da Partenope, ha un tappino rosso, può contenere 4,7 centilitri.

5) Pantani non apre bocca, indica solo al medico di non usare il laccio emostatico. Firma con mano tremante l’autografo chiesto da Partenope.

6) Finito il prelievo, Partenope passa la provetta a Sala che vi appone l’etichetta adesiva: il codice è 11140.

7) A Pantani viene mostrata l’etichetta e il modulo che riporta lo stesso numero. Sala non gli dice affatto la frase: «Guardala bene perché poi non voglio casini». Dice semplicemente di verificare la corrispondenza tra il numero sulla provetta e quello sul modulo, lo si faceva sempre.

8) La provetta viene portata via nell’apposita borsa, non in tasca.

9) Le analisi vengono fatte nella stanza d’albergo dei medici comaschi usando l’apparecchio indicato dall’Uci, un “Coulter Act-8”. Macchinario già certificato da un luminare di Padova. Il giorno dopo viene sequestrato a Como e controllato a Parma: tutto ok.

10) Non è vero che il verdetto su Pantani arriva in tempi più rapidi del solito. Si è scritto di un’attesa di soli 15 minuti ma è impossibile perché 15 minuti servono per agitare le provette, come da regolamento. Le dieci fiale vengono messe su un agitatore a rulli, prima di essere analizzate.

L’epilogo e lo sconcerto

11) Appreso che il valore sopra i limiti (51,9) è quello di Pantani, i medici comaschi chiamano Martinelli e il medico della squadra Roberto Rempi. Il primo trattiene a stento le lacrime e commenta con una frase che suona più o meno così: «Oggi si ferma l’Italia».

12) L’analisi viene fatta più volte dai medici e più volte anche in presenza di Martinelli e Rempi: dà sempre lo stesso risultato.

13) I periti scrivono che il sangue analizzato è quello di Pantani, che il valore è corretto e che «sono presenti segni di stimolazione farmacologica dell’eritropoiesi».

14) Pantani per la rabbia spacca una vetrata con un pugno e grida: «Mi hanno fregato». Può darsi. Ma, se è così, è successo prima del prelievo di sangue. Poche ore prima o qualche giorno prima, chissà. I medici comaschi hanno solo registrato un valore e quel valore era fuori norma. Per colpa del Pirata o di qualcun altro? Questa è la vera domanda. Il mistero. Michele Sada

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