Mazzette al fisco
«Così ho sistemato
tantissimi bilanci»

Ieri i primi interrogatori di garanzia. Pennestrì intercettato si vantava del “suo metodo”

Il giorno dopo i clamorosi arresti che hanno messo a nudo un sistema corruttivo diffuso nella nostra città, finalizzato a evadere o a eludere il fisco, professionisti e imprenditori finiti in manette sono comparsi ieri di fronte al giudice per l’interrogatorio di garanzia.

Udienze lampo, perché si sono tutti avvalsi della facoltà di non rispondere.

Così Antonio Pennestrì, il commercialista settantottenne (in realtà non risulta più iscritto all'albo da anni), forte di una vasta rete di relazioni personali e agganci all’interno della pubblica amministrazione, considerato con il figlio Stefano, pure lui in carcere, a Monza, il fulcro di quel sistema, il «mediatore e facilitatore di corruzione», come viene definito nell’ordinanza di custodia cautelare che lo ha mandato in cella a San Vittore. Difeso dall’avvocato Giuseppe Botta, chiederà di essere interrogato dal pm titolare dell’inchiesta Pasquale Addesso.

Scena muta anche da parte dell’ex direttore dell’Agenzia delle entrate di Como, Roberto Leoni, detenuto nella casa circondariale di Busto Arsizio. Una strategia, quella adottata dai difensori, dettata anche dalla necessità di capire nel dettaglio le accuse che vengono mosse ai propri assistiti. «Non trovo contestazioni in merito a episodi di dazioni di danaro a carico del mio assistito» si limita a dire l’avvocato Sara Turchetti, che difende appunto il dirigente finito in manette. Eppure, per definire quanto accadeva tra lo studio dei commercialisti di via Auguadri e l’Agenzia, il pm Addesso scrive che «il sistema Pennestrì è la cosiddetta “protezione” di Leoni Roberto». Anche Leoni chiederà di essere interrogato dal pm.

E si è avvalso della facoltà di non rispondere di fronte al giudice Maria Luisa Lo Gatto anche Andrea Butti, l’imprenditore difeso dall’avvocato Angelo Giuliano, titolare della Tintoria Butti di via Pannilani, agli arresti domiciliari, quale corruttore dei due pubblici ufficiali per il tramite dello studio Pennestrì.

Ultimo ad essere sottoposto a interrogatorio sarà Stefano La Verde, il funzionario capo ufficio legale dell’Agenzia comasca, l’uomo che compare nel video girato dal Gruppo tutela economica e finanziaria della Guardia di finanza di Como, mentre intasca una mazzetta da duemila euro all’interno dello studio Pennestrì. Tutti in carcere, a parte Butti, come aveva chiesto il pm evidenziando il pericolo di reiterazione dei reati, il rischio di inquinamento delle prove, il fatto che Leoni aveva scoperto di essere indagato («gliel’hanno detto da Milano» rivela in una intercettazione Pennestri). Una fuga di notizie che aveva permesso a Leoni «di concordare «versioni di comodo» con i coindagati, e ai Pennestrì di distruggere documentazione».

Le contestazioni principali riguardano in particolare la corruzione messa in atto per accomodare la verifica fiscale a cui era stata sottoposta la Tintoria Butti. L’Agenzia aveva accertato una somma vicina a 300mila euro, ma il direttore Leoni, in modo del tutto irrituale aveva avanzato una proposta ci conciliazione giudiziale di appena 25mila euro. Nello studio di Pennestrì a Butti viene spiegato che «quella proposta che abbiamo fatto noi a 25mila euro (la conciliazione ndr) vuol dire lasciare sul tavolo qualcosa come 7/8mila euro. Okay?». E Pennestrì: «Chissà perché...».

Ma la nuova direttrice dell’Agenzia la boccia. Tocca discutere in aula. Si propone Stefano La Verde: «Vengo io in udienza e chiaramente aiuterà...». I due commercialisti si chiedono come compensarlo: «Facciamo noi o gli chiediamo quanto vuoi della tua assistenza?». L’8 marzo nello studio di via Auguadri si presenta La Verde e Stefano va al sodo: «Qual è la parcella?» «Vedi tu». «O me lo dici tu o vediamo insieme, non vedo io». «Di regola non ho un tariffario, per cui...».

Il resto è cronaca, fino alla ripresa filmata il 2 aprile, della dazione della mazzetta da duemila euro, incassata da la Verde nello studio dei Pennestrì.

Come funzionava il sistema lo aveva rivelato lo stesso Antonio Pennestrì in una conversazione registrata dalla Guardia di finanza il 3 maggio scorso: lo spiega a Lorenza ed Enrico Vaccani (Studio Elle, indagati per traffico di influenze), chiedendo il versamento di una mazzetta di cinquemila euro per accomodare un accertamento fiscale: «Io devo dirvi che ho sistemato con il mio sistema, dei bilanci importantissimi, e vi faccio il nome... Ho sistemato Imperiali, Sampietro, i Taborelli. Sampietro e Imperiali sono clienti, Taborelli no, è un amico e l’ho messo a posto».

Imprenditori che non risultano indagati (se non Claudia Imperiali, per reati di natura fiscale).

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