Partita la cordata sulle Ande
per recuperare Matteo ed Enrico

Ma l’operazione è difficile e piuttosto rischiosa. Da affrontare il ghiacciaio, fratturato in più parti

Non è semplice recuperare i corpi di Matteo Tagliabue ed Enrico Broggi, i due alpinisti canturini morti travolti da una slavina una settimana fa sul monte Alpamayo, in Perù.

Era venerdì, quando i due ragazzi di Cantù, 27 e 29 anni, dati inizialmente per dispersi, sono stati coinvolti da un crollo nevoso sotto la vetta della grande piramide bianca del Perù. Come loro, sono saliti in cordata i soccorritori, pronti a uno dei compiti più difficili: recuperare, come vengono definiti, i corpi dei due ragazzi, entrambi individuati come tali già da un paio di giorni.

Non è semplice affrontare l’Alpamayo in questi giorni. Ieri, all’alba, le guide d’alta montagna insieme alla squadra di soccorso della polizia hanno tentato di raggiungere la zona impervia dove sono stati già visti sia Tagliabue, identificato anche grazie alla tuta rossa, che Broggi, avvistato, come riferito da Renzo Moreno Ardiles, presidente delle guide, a un centinaio di metri dal compagno d’ascesa, ancora attaccato alla corda che i due stavano utilizzando. Sono rimasti laddove si trovano, prima che la sporgenza di 16 metri quadri, sulla quale si stavano muovendo, crollasse da un’altezza superiore ai 5mila metri. E finisse, trattenendo nel manto i due ragazzi, 700 metri più sotto, in una zona impervia, minata dalla costante caduta di valanghe e blocchi di ghiaccio.

Sul giornale in edicola, l’articolo completo, il ricordo di Enrico Broggi, le testimonianze degli amici, il racconto di un alpinista che ha scalato l’Alpamayo.

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