Sentenza di Papa Francesco
Mangiacasale non è più prete

La decisione dopo la conclusione del processo diocesano.L’ex parroco di San Giuliano condannato per abusi su quattro ragazzine è stato ridotto allo stato laicale.

Don Marco Mangiacasale, l’ex parroco di San Giuliano condannato in via definitiva per abusi sessuali su quattro ragazze minorenni, è stato “ridotto allo stato laicale” dal Sant’Uffizio vaticano. In sostanza, non è più un sacerdote.

Lo riferisce il quotidiano Repubblica. Don Mangiacasale era stato condannato a 3 anni e sei mesi di reclusione. La sentenza è stata firmata direttamente da Papa Francesco e dal Prefetto per la Congregazione della Dottrina della fede monsignor Gerhard Ludwig Mueller, e risale all’ 11 dicembre scorso. Si tratta del primo provvedimento del genere emesso dal nuovo Papa nei confronti di un sacerdote italiano.

Il provvedimento è giunto dopo un’indagine e la sentenza equivale al massimo della pena applicabile secondo il diritto canonico. Ora Mangiacasale non potrà fare l’educatore nelle scuole cattoliche né partecipare in ogni modo a gruppi o organizzazioni dove siano presenti dei giovani.

La notizia è stata confermata dalla Diocesi che in un comunicato stampa ha ripercorso le tappe della vicenda. Questo il testo del comunicato :

In data 23 settembre 2013, conclusa la fase diocesana del processo canonico penale a carico del Sac. Marco Mangiacasale, monsignor Vescovo, ai sensi dell’art. 4 del Motu Proprio Sacramentorum Sanctitatis Tutela, deferiva il caso alla Santa Sede, in specie alla Congregazione per la Dottrina della Fede.

In data 11 dicembre 2013 il Sommo Pontefice Francesco – l’unica autorità competente a emettere sentenza in materia, dopo attento esame della documentazione ricevuta – ha decretato pro bono Ecclesiae, per don Marco Mangiacasale, l’irrogazione della pena di “dimissione dallo stato clericale” e la dispensa da tutti gli obblighi annessi.

La sanzione è giunta in Diocesi con lettera raccomandata nei giorni scorsi. Monsignor Vescovo ha fatto in modo che fosse notificata all’interessato. Sempre il Vescovo ha comunicato la decisione pontificia agli altri aventi diritto (ovvero le vittime con i loro genitori, più il parroco di Como-San Giuliano, dove i fatti sono accaduti). In ossequio alla volontà del Sommo Pontefice, tali notificazioni e comunicazioni sono classificate come riservate e destinate alle sole parti in causa, vincolate al segreto. Si tratta di un atteggiamento sollecitato a tutela di tutti coloro che sono direttamente coinvolti nella dolorosa vicenda e nell’iter processuale, per evitare ferite e lacerazioni che un eccesso di esposizione potrebbe infliggere a persone e comunità già attraversate da una grande sofferenza.

Si constata l’inopinata diffusione della notizia sui mezzi di informazione. Una “fuga” che ostacola, di fatto, la decisione del Vescovo di comunicare l’esito della sentenza anche alla parrocchia di Como-San Giuliano in occasione dell’ormai prossima visita pastorale. Un incontro solo posticipato a causa del persistere di un’infezione polmonare, che ha comportato, considerata la necessità di un congruo periodo di convalescenza, la sospensione sia della visita anche ad altre realtà cittadine sia di tutte le attività previste nell’agenda del Vescovo. Venuta, quindi, a cadere la riservatezza richiesta dal Santo Padre, onde evitare il propagarsi di interpretazioni deformate, parziali o palesemente inesatte, si è deciso, per il bene della Chiesa, di portare a ufficiale conoscenza della Comunità ecclesiale e civile l’esito finale del procedimento canonico, come sopra indicato.

Nel dare la notizia il Vescovo raccomanda a tutta la comunità diocesana di conservare uno spirito di preghiera e di costruttiva comunione ecclesiale.

La paterna vicinanza e la fraterna solidarietà del Vescovo si rivolgono anzitutto alle giovani vittime e alle loro famiglie, così duramente messe alla prova e chiamate a un faticoso cammino di rinascita, animato dalla speranza cristiana.

Si associa nella preghiera anche la parrocchia di Como-San Giuliano, perché possa ritrovare la strada della fiducia, della riconciliazione e della pace.

Ai presbiteri è affidato il compito di adoperarsi affinché quanto accaduto non abbia a suscitare disorientamento nei fedeli.

A Marco Mangiacasale va l’incoraggiamento, nell’accettazione della pena canonica, a proseguire il percorso intrapreso di sincero pentimento, di riparazione del male commesso e di ricostruzione umana e spirituale, anche attraverso il pieno accertamento e l’esatta comunicazione della verità dei fatti, come risultante dalle motivazioni della sentenza di condanna in sede di procedimento penale della giustizia civile, di primo e secondo grado.

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