Sicurezza nei locali da ballo
«Mafia dietro le estorsioni»

CANTU’ - Il giudice di primo grado aveva escluso la matrice della ’ndrangheta. Ora il procuratore generale ha chiesto la revisione e fino a 20 anni di carcere

Dietro le minacce ai locali da ballo della Brianza per poter mettere le mani sulla gestione della sicurezza privata - sostanzialmente la gestione dei buttafuori - c’era oppure no la mano della ’ndrangheta? Secondo il procuratore generale di Milano, che ieri ha sollecitato condanne pesantissime - fino a vent’anni di carcere - per gli imputati coinvolti nel blitz della Dda della primavera del 2020, non vi è alcun dubbio: l’associazione di stampo mafiosa va contestata eccome. E la sentenza di primo grado, quella in cui il giudice delle udienze preliminari assolse i principali imputati proprio dall’accusa di far parte della ’ndrangheta, va riformata.

Si è tenuta ieri, nell’aula bunker di via Ucelli di Nemi a Milano, la requisitoria del processo d’appello dell’operazione “Gaia” che vede imputate 17 persone accusate - a vario titolo - chi di estorsione ai danni di discoteche e locali notturni, chi di traffico di sostanze stupefacenti.

L’operazione

In primo grado, lo scorso anno, il giudice aveva stabilito che sì, molti dei reati contestati sono stati commessi con l’aggravante del metodo mafioso ma che «non sussistono elementi concreti che consentano di affermare» l’inserimento degli imputati all’interno della ’ndrangheta.

Ora la Procura generale di Milano chiede di rivedere quella sentenza, contestato ai quattro imputati principali l’accusa di associazione mafiosa. A partire da Umberto e Carmelo Cristello (residenti a Seregno e Cabiate, storicamente affiliati ai clan) per i quali il giudice di primo grado disse che «non è possibile affermare che» i due dopo essere stati liberati, abbiano «posto in essere condotte partecipative rilevanti e dirette a ricostrituire la locale di Seregno e Giussano». E poi Luca Vacca di Mariano Comense e Daniele Scolari, pure lui di Mariano, ex buttafuori dello Spazio Renoir di Cantù (l’inchiesta è di fatto la prosecuzione dell’operazione condotta dai carabinieri di Cantù sulle mani della ’ndrangheta su piazza Garibaldi). Anche per loro l’accusa, nella requisitoria di ieri, ha sollecitato un riforma della sentenza di primo grado con il riconoscimento del reato di associazione a delinquere di stampo ’ndranghetistico.

Le richieste dell’accusa

Queste le pene sollecitate: Carmelo Cristello 19 anni, Umberto 18, Luca Vacca vent’anni, Daniele Scolari 9 anni e 4 mesi. E ancora: per Luigi Manno (Como) chiesta la conferma della condanna a 9 anni e 4 mesi, conferma chiesta anche per Simone Di Noto (Bregnano) a 5 anni e mezzo; 8 anni sollecitati per Andrea Foti (Mariano Comense), sei anni e otto mesi la richiesta per Manuel Mariani (Mariano Comense) che era stato assolto in primo grado, e conferma per Massimiliano Tagliabue (Cabiate), che era stato condannato a 2 anni.

E ancora: chiesti 11 anni per Igor Caldirola (Seregno), 9 anni e 8 mesi per Nicola Ciccia (Carate Brianza), 5 anni ad Antonio Apa (Seregno), 19 anni per Domenico Favasuli (Casignana-Reggio Calabria), 9 anni e 10 mesi per Leonardo Sganga (Bianco, Reggio Calabria), sei anni e mezzo per Virgilio Malacrinò (Cesano), 9 anni e 4 mesi per Andrea Ternullo (Verano Brianza), 5 anni e 9 mesi per Jessica Santambrogio (Carate Brianza).

Ora la parola passa alle difese (l’avvocato Simone Gatto, difensore di Luca Vacca, ha già bollato come «inaccettabili le richieste di condanna dicendo: «Non si gioca con la vita delle persone. Non è accettabile che un’associazione sia formata da 5 persone per il pm, diventi di tre per il gup, il riesame la faccia diventare di 4 il giudice di primo grado assolva tutti»). La sentenza è attesa entro fine mese.

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