Fenegrò: “Padre e figlio terroristi”
“Una famiglia radicalizzata”

Sono egiziani di 51 e 23 anni. La moglie del primo e madre dei secondo, marocchina, è stata rimpatriata per motivi di sicurezza personale

La Digos: «Il padre spingeva il figlio a combattere in Siria per purificarlo. In una registrazione dice che un figlio combattente vale più di cento preghiere

La Digos della Questura di Milano, con la Digos di Como, ha arrestato per associazione con finalità di terrorismo due egiziani di 51 e 23 anni, padre e figlio, residenti a Fenegrò in via Trento.

Con provvedimento del Ministro dell’Interno è stata altresì rimpatriata, per motivi di sicurezza personale, la cittadina marocchina 45enne rispettivamente moglie e madre dei due.

«Abbiamo trovato situazioni di tanti tipi ma una famiglia così compatta nella radicalizzazione non ci era mai capitata. Padre, madre e figlio maggiore, erano esclusi solo il figlio 22enne e la figlia 20enne». A parlare è Claudio Ciccimarra, capo della Digos di Milano, che oggi ha spiegato l’operazione «Talis pater...» che ha portato all’esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Sayed Fayek Shebl Ahmed, un ex mujaheddin di 53 anni che ha combattuto in Bosnia, e del figlio 23enne Saged Sayed Fayek Shebl Ahmed, attualmente in Medio Oriente. «Durante le intercettazioni nella loro casa sono emerse moltissime conversazioni in cui emerge il passaggio di testimone generazionale, con il padre che spinge il figlio a combattere in Siria per purificarlo. In una registrazione dice che un figlio combattente vale più di cento preghiere».

«Il figlio maschio minore, 22enne, era definito dal padre “un cane” perché frequentava ragazzi italiani e voleva vivere in modo occidentale. Era considerato la pecora nera della famiglia». Così il procuratore aggiunto Alberto Nobili ha spiegato le dinamiche famigliari emerse nel corso delle indagini.

«Il padre ha tentato di convincere l’altro figlio a partire in guerra ma è stato inutile. Ha provato anche mostrandogli filmati della guerra a cui ha partecipato lui in Bosnia. Per riuscire a mantenere il 23enne in Siria ha fatto enormi sacrifici economici. Era saldatore a Como ma poi ha perso il lavoro e si è dovuto accontentare di lavoretti saltuari. Il figlio combatte per una brigata legata ad Al Nusra, un gruppo vicino alla visione jihadista di Al Qaeda a cui il padre era legato, ma di recente il ragazzo ha mostrato simpatie per l’Isis e questo gli è costato l’allontanamento dal gruppo. C’è anche una foto in cui appare accanto alla bandiera nera del Califfato appesa nel proprio appartamento. Il padre - ha continuato Nobili - era molto in imbarazzo e ha dovuto intercedere con i suoi contatti per convincerli a riprendere il figlio tra le proprie fila». Il 23enne ha anche espresso diverse volte l’intenzione di tornare in Italia perché le condizioni di vita e il pericolo stava diventando insostenibile. «In passato il 23enne è rimasto ferito gravemente ma il padre non ha esitato a convincerlo a tenere duro e resistere - ha spiegato Nobili - La moglie (destinataria di un provvedimento di espulsione, ndr) ha invece rimproverato il marito più volte, accusandolo di essere il responsabile di eventuali ferite o della morte del figlio»

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