Vieta alla figlia di vivere da adolescente
Padre condannato a tre mesi di carcere

Tre mesi di carcere. È la condanna che il tribunale ha inflitto al padre di una ragazzina, accusato di abuso di mezzi correttivi.

Un processo che ha mosso i primi passi in una mattinata di scuola marinata. Una ragazzina di dodici anni che, anziché presentarsi in classe, è stata vista in giro per la città da un poliziotto libero dal servizio. Il quale, insospettito, l’aveva fermata e aveva raccolto il suo sfogo di rabbia e dolore nei confronti del padre. Un padre di nazionalità marocchina, musulmano, integralista nella sua professione di fede, che - secondo l’accusa - impediva alla figlia di vivere come le sue compagne di scuola, di indossare un paio di jeans, di girare senza il velo, di guardare “Violetta” in televisione.

Il padre, oggi, ha 51 anni. Da almeno un paio la figlia non vive più con lui e con la madre. Allontanata dal Tribunale per i minori e affidata ai servizi sociali. La storia sua e della figlia è stata sviscerata a lungo davanti al giudice di Como. Che ha sentito il poliziotto che per primo ha raccolto lo sfogo della ragazzina, quindi psicologa e assistente sociale che hanno cercato - invano - di riavvicinare la giovane ai suoi familiari. Poi il diretto interessato, i testimoni della difesa. In aula è stata sentita anche lei, la ragazzina, che ha ricostruito i divieti, le imposizioni, le costrizioni.

Alla fine la sentenza ha confermato l’accusa, sostenuta in aula dal pubblico ministero Vanessa Ragazzi: colpevole. Condannato a 3 mesi di reclusione.

Un processo delicato, perché - per fortuna - non si parla di botte, violenze fisiche, maltrattamenti, eppure per la legge non c’è dubbio: un padre non può imporsi con tanta violenza sui figli, perché «chiunque abusa dei mezzi di correzione o di disciplina in danno di una persona sottoposta alla sua autorità» è colpevole.n

© RIPRODUZIONE RISERVATA