Frontalieri, accordo Berna-Ticino:
"Blocchiamo i ristorni all'Italia"

Nuova offensiva degli svizzeri contro gli italiani in relazione alle conseguenze ipotizzate dello scudo fiscale di Tremonti. Ieri un incontro fra il governo del Canton Ticino con Berna ha portato ad un accordo per trattenere almeno un aparte dei ristorni del frontalieri e destinati ai Comuni di confine. Gli svizzeri intendono utilizzarli per adeguare le infrastrutture elvetiche.

La fiscalità dei frontalieri potrebbe essere l’arma con la quale la Svizzera risponde allo scudo fiscale italiano: è la proposta avanzata ieri a Berna, nell’atteso incontro tra i ministri ticinesi Gabriele Gendotti, presidente del governo di Bellinzona, Laura Sadis e Luigi Pedrazzini con Hans Rudolph Mertz, presidente della Confederazione.

Un’ora e mezza di colloqui, sollecitati dal Canton Ticino che avverte i rischi per la propria piazza finanziaria, la terza per importanza in Svizzera, svuotata dai depositi italiani ai quali ha sempre fatto da forziere e sia il governo, sia il parlamento, hanno chiesto misure severe, fino alla ritorsione, nei confronti della penisola, scuotendo Berna dall’inerzia. Mai come ora il Canton Ticino s’è scoperto vulnerabile e le preoccupazioni si sono accentuate in previsione di una proroga di quattro mesi dello scudo fiscale, fino al 15 aprile 2010. Nessun provvedimento concreto è stato assunto ieri, ma il presidente Mertz ha tranquillizzato l’area a sud delle Alpi, offrendo una «soluzione globale», cioè una valutazione complessiva dell’imposizione fiscale in Canton Ticino.

E in questa valutazione, rientra la fiscalità dei frontalieri: il 40% del prelievo sui redditi da lavoro dei pendolari di confine da trent’anni è riversato all’Italia e ripartito tra i Comuni a più alta densità di frontalieri e alle province di competenza, come Varese e Como. L’ammontare dei ristorni è di 39-40 milioni di euro l’anno, una risorsa fondamentale per amministrazioni provinciali e Comuni. La proposta ticinese, che sarà esaminata da un apposito gruppo di lavoro composto da rappresentanti confederali e cantonali: riduzione della quota del 40% (con l’Austria, per esempio, è il 10%) e impiego delle risorse derivate dalla fiscalità dei lavoratori italiani per progetti transfrontalieri, a cominciare da viabilità e trasporti. Il Canton Ticino ha inoltre chiesto a Berna agevolazioni fiscali per sviluppare nuove aziende e mettere a punto un nuovo modello di economia. La parola d’ordine, pronunciata ieri: «Evitare contrapposizioni e tener aperti i canali diplomatici con l’Italia» non ha però attenuato la durezza della Lega dei Ticinesi. Secondo il leader Giuliano Bignasca, «l’Italia ci ha presi a pesci in faccia, Tremonti deve fare due passi indietro, la Lega Nord di Varese, Como e Sondrio deve fare pressioni su Roma - ha dichiarato -. Altrimenti, da gennaio, i frontalieri non potranno entrare in Svizzera senza storie, come ora. Linea dura con l’Italia, tecnicamente e finanziariamente fallita». Posizione più moderata degli altri esponenti, ma trapela il rischio che i fondi di ristorno siano congelati. La conseguenza: casse vuote nei Comuni di confine.

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